sabato 26 luglio 2014

L'ultima epidemia ha causato 660 morti, 28 dei quali nel corso delle ultime 48 ore. Quarant’anni dopo la prima diagnosi mancano ancore i finanziamenti per la ricerca delle cure

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Con un ritmo quasi incalzante, le epidemie di Ebola, più o meno ogni anno, colpiscono i Paesi dell’Africa Subsahariana. L’ultima risale al gennaio scorso ed è, purtroppo, ancora in corso. Interessa il versante occidentale del continente e al momento ha causato 660 morti, 28 dei quali nel corso delle ultime 48 ore. La cifra è stata resa nota ieri dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La Guinea, focolaio dell’epidemia, non è più il Paese della regione maggiormente colpito dalla pandemia, sebbene sia quello che ha registrato più decessi (415 casi e 314 morti). Il virus si è, infatti, esteso soprattutto in Sierra Leone, con 454 casi accertati di cui 219 mortali, mentre in Liberia sono stati rilevati 214 casi, di cui 127 mortali. E proprio ieri si è saputo di un’altra vittima del virus: si tratta di un cittadino liberiano sui 40 anni, morto in Nigeria, a Lagos, una delle città più popolose dell’Africa. Si tratta di Paesi a forte esclusione sociale, dove le ricchezze del sottosuolo (oro, bauxite, diamanti, rutilio, petrolio...) non hanno ancora consentito il riscatto dei ceti meno abbienti che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione. Malgrado l’intervento delle autorità sanitarie internazionali, purtroppo, la diffusione del virus non accenna a fermarsi. Identificato per la prima volta nel 1976 nell’ex Zaire, Ebola è uno dei virus più contagiosi che si conoscano e anche uno dei più letali. Causa emorragie interne – e a volte anche esterne – che provocano la morte fino al 90 per cento delle persone infette. Sta di fatto che ogni volta che si manifesta, questa terribile malattia fa tornare d’attualità i tanti misteri che ancora la circondano e le difficoltà nella ricerca di una cura, anche perché le conoscenze dei ricercatori sul virus sono ancora scarsissime. Non si sa ancora per certo, ad esempio, come si sia effettivamente originato, né in quali specie si annidi tra un’epidemia e l’altra, né come curarlo efficacemente, né come si trasmetta l’infezione. Le informazioni disponibili confermano che il virus si trasmette attraverso contatti con fluidi corporei (sangue, saliva, aerosol, liquido seminale…) di persone infette con sintomi di malattia. Vi sono poi dei fattori che aumentano il rischio di diffusione dell’infezione, quali ad esempio, la mancanza di misure di controllo delle infezioni, a partire dal lavaggio delle mani fino all’uso appropriato di dispositivi di protezione individuale, per non parlare dell’adeguato smaltimento di rifiuti in ambito sanitario o del trattamento funerario che in molti Paesi africani sono fattori problematici. Ebola, comunque, non è mortale per i pipistrelli e ciò fa ritenere che questi mammiferi abbiano un ruolo chiave nel mantenimento dell’infezione. L’incubazione può andare dai 2 ai 21 giorni (in media una settimana), a cui fanno seguito manifestazioni cliniche come febbre, astenia profonda, cefalea, dolori delle articolazioni e dolori muscolari,vomito e diarrea. I fenomeni emorragici sia cutanei che viscerali, compaiono in genere al sesto-settimo giorno. Ad oggi, è bene rammentarlo, non è disponibile un vaccino efficace. La trasmissione transfrontaliera avviene attualmente per la mancanza di controlli lungo i confini terrestri dei tre Paesi colpiti dal questa orribile infezione. Naturalmente, quando si parla di Ebola, il contesto epidemiologico generale è quello della cosiddetta 'medicina tropicale', un termine che molte volte nasconde quella che invece sarebbe più corretto chiamare medicina del sottosviluppo. Infatti, le precarie condizioni di salute delle popolazioni della fascia tropicale sono sintomatiche non solo di fattori climatici o ambientali, ma anche della mancanza di risorse economiche, sociali, culturali e professionali. Un diritto negato, dunque, quello della salute che esige maggiore corresponsabilità a livello locale, ma più in generale su scala planetaria. Basti pensare a certi regimi i quali, pur disponendo d’investimenti stranieri e risorse finanziarie, peraltro amministrate secondo logiche nepotistiche, temono che l’incentivazione dei servizi sociali, sanità in primis, aumenti quella domanda di democrazia che potrebbe mettere a repentaglio le loro leadership. Sta di fatto che, in molti contesti, malattie in sé curabili continuano a uccidere milioni di persone, quando invece potrebbero 'semplicemente' non ammalarsi se solo fossero messi nelle condizioni di vivere dignitosamente, con un’igiene decorosa, un’alimentazione adeguata e una sanità di base, quella che, con semplici vaccinazioni e una struttura essenziale di assistenza, permetterebbe di prevenire o contenere le patologie più diffuse. È bene rammentare che l’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo afferma che «ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari». Il dato inequivocabile è che la società civile – chiese cristiane e ong in testa – devono continuare a battersi in ogni sede per il rispetto universale di questo diritto. Forse non tutti sanno che nel 2013, secondo il recente rapporto Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) il business mondiale delle armi è stato di 1747 miliardi di dollari. Mentre invece, quasi quarant’anni dopo la prima diagnosi, per Ebola si è ancora alla ricerca di finanziamenti per sostenere la ricerca; studi, peraltro dispendiosi essendo stati individuati in questi anni molti ceppi del virus. Inoltre, al di là del trattamento medico, il controllo di ogni epidemia richiede il dispiegamento di personale qualificato per educare alle misure di controllo del contagio, per tracciare i casi e per allestire una rete di sorveglianza epidemiologica, promuovendo un’efficace comunicazione di salute pubblica. A causa delle risorse umane e finanziarie limitate, molte volte i Paesi dove si registrano i focolai di Ebola sono in grande difficoltà. Ecco perché l’indifferenza è davvero il peggiore dei mali. D’altronde, uno dei fattori che hanno determinato lo scarso successo della ricerca in questo campo è la limitata portata della malattia. Ad esempio, quante vittime ha fatto Ebola negli Stati Uniti o in Europa? Nessuna. Forse, in un prossimo futuro potrebbero esservi degli sviluppi positivi dal punto di vista scientifico, non tanto perché all’Occidente interessi investire per salvare vite umane in Africa, quanto piuttosto perché in alcuni ambienti militari cresce il timore che il virus possa essere usato in attacchi di bioterrorismo. L’aumento della ricerca in questo campo, dunque per scopi di difesa, potrebbe portare allo sviluppo dell’agognato vaccino che finirebbe per aiutare, ma solo in seconda battuta, anche quei Paesi, come la Sierra Leone, colpiti da epidemie naturali. Il che dimostra quanto gli interessi geostrategici condizionino il destino dei popoli in via di sviluppo.
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