giovedì 27 ottobre 2011
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Vivo da decenni sui monti che chiudono l’alta valle del Vara, ma so quel che può accadere dopo quattro ore di pioggia torrenziale. Ho passato infatti la mia infanzia accanto al fiume Magra, che ha costruito attraverso millenni – con il consistente aiuto del fiume Vara – la grande pianura (grande almeno per la Liguria) che va da Santo Stefano Magra al mare.Avevo pochi mesi quando l’alluvione del 1940 strappò, nella piana di Ameglia, un argine costruito per la protezione dei campi. Ci ero passato sopra , pochi minuti prima, in braccio a mia madre che fuggiva dalla casa dei suoi. A lungo ci considerarono dei miracolati. A quell’epoca esistevano solo gli argini perpendicolari al fiume. I terreni agricoli, in teoria non più esondabili, costituivano in realtà zone di espansione per il fiume che usciva spesso dallo stretto alveo. Rivedo ancora nonno Giovanni che, ai primi di agosto, scrutava il nero del temporale sull’Appennino. Dopo alcune ore andava a controllare la forza della piena. Più di una volta il poco bestiame si è salvato sull’argine vicino. Da ragazzo andavo a pescare nei "rami morti" (i residui dei vecchi alvei, funzionanti fino alla rettifica realizzata alla fine dell’800) e ci trovavo ancora il granchio di fiume, oggi del tutto sparito.Negli anni ’50 è cominciata l’escavazione intensiva: sabbia e ghiaia servivano per l’edilizia e, più tardi, per la grande sopraelevazione dell’autostrada. Gli impianti di estrazione erano collocati, per comodità di trasporto, vicino ai ponti. Dal 1965 al 1970 ne ho visti ben undici crollati o gravemente danneggiati. Intanto, come per miracolo, le alluvioni erano sparite. La pianura si riempì di fabbriche e di abitazioni. Molte case si dotarono di un seminterrato, usato come cantina o come "tavernetta". Si pensò che non servissero più i canali e i canaletti di scolo. E poi erano un pericolo per i bambini: meglio interrarli, oppure deviarli e riempire il tracciato di curve.Provo una grande tristezza ogni volta che viene danneggiato il ponte della Colombiera, sull’ultimo tratto del Magra. In quel punto, per molti anni dopo la guerra, si attraversava il fiume su una chiatta, assicurata con gli anelli ad un cavo d’acciaio. Forse c’era una ringhiera di protezione, ma ricordo le raccomandazioni dei genitori a noi ragazzi perché non finissimo in acqua. Poi il ponte tanto atteso arrivò. Se fossero state realizzate tutte le campate in progetto, il fiume in piena non avrebbe dovuto lottare contro gli enormi terrapieni costruiti sulle due rive. Arrivarono, nel 1981, le esigenze della cantieristica navale (per di più da guerra). Si accorsero in ritardo che i cacciamine costruiti a monte non potevano passare sotto le arcate. Io scesi a valle, il quella occasione, per sostenere le ragioni del fiume e del ponte. Inutilmente. Il ponte venne "tagliato" e fortemente indebolito. Logico che a ogni alluvione ne caschi un pezzo. Considerazioni da mettere in secondo piano, si potrebbe pensare davanti alla perdita di vite umane. Ma queste tragedie e la gravità delle distruzioni nascono spesso da iniziali errori di valutazione e di calcolo.Esistevano, una volta, le "autorità" di bacino con forti poteri di intervento per la messa in sicurezza dei fiumi. Ma i tecnici più competenti fuggono da questi organismi perché i "veti" dell’ambientalismo estremo impediscono interventi di manutenzione. Le zone di espansione? Abolite dalle arginature che proteggono le attività produttive. Come rimedio, tutta la zona oggi disastrata è stata dichiarata "parco naturale". Sui giornali, a suo tempo, comparve il progetto di una "pista ciclabile" lungo il fiume e di guardie ecologiche a cavallo: siamo dentro la realtà o giochiamo con sciocche fantasie? Dopo l’alluvione di due anni fa, il legname trascinato dall’acqua è stato raccolto su una sponda di una enorme catasta "intoccabile". Se un commando di ignoti non l’avesse ridotta in cenere, in questi giorni avrebbe nuovamente collaborato alla furia rovinosa delle acque. Nei prossimi giorni ci sarà molto fango da ripulire e molti detriti da rimuovere. Forse dovremmo ripulire anche molte idee, tanto sul fronte dello sfruttamento del territorio quanto sul fronte di errate mitologie "naturalistiche".
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