Dar battaglia per smontare le 194? Svuotiamola dal suo carico di dolore
sabato 28 maggio 2022

Gentile direttore,
sono passati alcuni giorni dalla bella e significativa Manifestazione «Scegliamo la Vita» e, dunque, a "bocce ferme" come si suole dire, è utile esprimere qualche considerazione. Innanzitutto, la bellezza dell’unità e della condivisione da parte del variegato mondo pro-life: il che è un risultato tutt’altro che scontato o facile da conseguire. Anche l’aspetto dell’unità fra credenti cattolici, credenti cristiani non cattolici, credenti di altre fedi religiose e non-credenti intorno al tema della difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, assume un valore particolare in questo momento che non esiterei definire di "diaspora" – purtroppo – proprio sui temi eticamente sensibili. Come è stato detto e ripetuto, si è trattato di una "marcia per" e non di una "marcia contro".
Certamente avremo ancora molto tempo e molte altre occasioni per esprimere tante e diverse considerazioni, ma una in particolare mi sembra di particolare importanza: la Manifestazione per la Vita ha posto nuovamente all’attenzione di chiunque – mondo culturale, sociale e politico – il tema dell’aborto, che corre sempre il rischio di passare come un evento scontato, "normale", accolto con indifferenza, frastornati tutti, chi più chi meno, dalla grancassa del politicamente corretto che lo presenta come un "diritto" inalienabile della società moderna. Oggi, più che mai, associato a quell’altra assurdità chiamata "morte volontaria medicalmente assistita". Il rischio, a 44 anni di distanza, è di rassegnarsi, di ritirarsi nel recinto del proprio credo, di vivere malinconici e delusi, orfani di quello slancio profetico che ispirò a Giovanni Paolo II lo storico appello: «Non ci rassegneremo mai!». Papa Francesco ha utilizzato parole di condanna dell’aborto, e – durante il Regina Coeli all’indomani della manifestazione –, salutando i partecipanti, ha ribadito il dovere dell’obiezione di coscienza, a tutti i livelli della società e in ogni ruolo svolto, quando è in gioco il diritto alla vita.
Dunque, oggi s’impone una virtuosa sintesi fra realtà contingente e impegno perché l’iniqua legge venga abolita. Ciò che è impossibile oggi non significa per nulla rassegnarsi al peggio e non coltivare, nella mente e nel cuore, la speranza di poter radicalmente cambiare rotta. Senza irreali fughe in avanti, ma con lucida caparbietà, passo dopo passo, emendamento dopo emendamento, marcia dopo marcia: quella legge si può smontare. E, alla luce delle parole dei Pontefici che hanno segnato il nostro tempo, si "deve" smontare. Proprio sulla base delle stesse conoscenze scientifiche – 44 anni fa non avevamo neppure l’ecografo! – con mentalità rigorosamente laica, oggi nessuno può dire che embrione e feto non sono indiscutibilmente "uno di noi", un essere umano a tutti gli effetti. E una società davvero civile – cioè fondata sul riconoscimento dei diritti umani universali, primo fra tutti il diritto alla vita del più debole e indifeso – non può ignorare che negare tutto ciò spalanca le porte a ogni sopruso, in nome del personale interesse e della cosiddetta "libera scelta". Nessuno di noi è così ingenuo da pensare di poter ottenere tutto e subito, ci vogliono saggezza e pazienza, prudenza e lungimiranza, ma la stella polare cui guardare deve essere sempre, in ogni contingenza, ben chiara: non possiamo rassegnarci a una legge "integralmente iniqua".
Massimo Gandolfini
portavoce Manifestazione «Scegliamo la Vita»

Gentile dottor Gandolfini, in questi giorni di guerra anche in terra d’Europa è difficile non pensare a che cosa può condurre l’arbitrio (dis)umano nella sopraffazione della vita debole. A che cosa sia, insomma, la violenta mancanza di rispetto che porta a cancellare la realtà delle esistenze in nome di idee e di interessi. Anch’io come tanti – come i Papi e altri maestri credenti e laici che hanno accompagnato la mia formazione, come santa Teresa di Calcutta che l’ha saputo dire con tutta la sua vita e sin nel giorno del Nobel della Pace – considero l’impegno per l’accoglienza della vita e quello contro ogni forma di guerra un tutt’uno. E penso che riguardi ogni fase dell’esistenza di donne e uomini, e ci mobiliti per rimuovere le cause dell’ingiustizia e della "cancellazione dell’altro", che si tratti di una creatura non nata o di un profugo che sta alla porta, di un anziano disabile o di una donna usata e abusata.
Penso anche che la 194, come tutte le leggi, ma un po’ di più, sia una legge che ha dentro di sé cose diverse. Non l’avrei votata così com’è proprio come non voterei mai per la pena di morte perché sono contro ogni norma "letale". E considero l’aborto una tragedia immensa per il figlio abortito – uno di noi – e per la donna-madre che vive questa prova.
Non mi stanco di ripetere che le leggi sono anche, e spesso soprattutto, il "modo" in cui le applichiamo. E io so che la 194 può essere usata per rimuovere le cause dell’aborto, ma so pure che purtroppo non lo si fa abbastanza e in molti casi per nulla. Ritengo anche, alla luce delle sempre più ampia consapevolezza della realtà della vita prima della nascita che ci dà la scienza, sia possibile e necessario riconsiderare l’attuale pratica dell’aborto legale e le decisioni che la consentono (sempre arbitrarie, come tutte quelle che riguardano esistenze altrui, ma qui di più perché toccano un "senza voce").
In sostanza non credo che la legge 194 debba essere smontata come lei dice, ma svuotata del suo carico di sofferenza e di morte. E per questo serve dialogo profondo e franco, chiarezza d’idee e rispetto reciproco. Prima di tutto per i protagonisti di ogni storia d’aborto: la donna e madre e il piccolo o la piccola che lei porta in grembo. Lo dico con timore e tremore perché sono al mondo grazie alla "scelta" di mia madre. Graziella, che mi ha voluto contro il parere dei medici, con mio padre, Giorgio, cristiano saldo e limpido come lei ed entrambi molto più di me, capace di starle accanto con amore e assoluto rispetto per la sua determinazione, ma anche ripetendole: «Ricordati, che ho scelto te, non i figli che possiamo generare insieme». Ogni giorno per me è un dono del quale non dirò mai grazie abbastanza a lei, all’amore che mi ha generato e che credo "somigli" a Dio, e per il quale mai abbastanza restituirò ( e non sempre ci riesco) a chi incontro lungo la strada della vita.
Le auguro, gentile dottore, buone battaglie, dialoghi fecondi, tenacia di bene.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI