giovedì 9 ottobre 2014
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Sta per aprirsi a Roma la seconda edizione di un appuntamento dal nome bizzarro: 'Piccolo festival dell’essenziale'. È alla seconda edizione. Tra poesia, danza, scienza, musica, e in mezzo a tanti festival più roboanti, nell’appuntamento nel cuore di Roma si prova a mettere a fuoco cosa sia 'essenziale' in questi tempi. Di certo, nella invenzione di questo festival ha agito l’invito degli ultimi Papi – in un’epoca di crisi – a concentrarsi anche con la semplicità delle forme sull’essenziale. In Italia ci sono molti appuntamenti culturali e festival che nascono da una vivacità cristiana o che la interpellano. Dal Meeting di Rimini al Tour sui X Comandamenti promosso da Rinnovamento nello spirito, al Festival Francescano, da LoppianoLab a Torino Spiritualità fino al Festival biblico, i festival di teatro sacro e passando per altri cento e cento appuntamenti, piccoli e grandi. Ci sono stati anche momenti in forma di spettacolo e di riflessione voluti dalle diocesi, come a Milano, ma sono soprattutto appuntamenti generati da gruppi di laici.  La forma festival segnala l’emergenza di domande e di proposte culturali ed è uno dei fenomeni della nostra epoca. Al netto di tutti i difetti legati alla estemporaneità o alla vanità, in tali appuntamenti si mostra una domanda di esperienza di conoscenza, di cultura viva, sperimentata, in reazione a una impostazione della cultura come enciclopedismo stantìo. Che ne nascano e fioriscano dal campo cattolico è un segno interessante. E non tanto per una questione di cosiddetta politica culturale, di distinzione o contrapposizione di campi. Spesso, tra l’altro, tali appuntamenti risultano molto più aperti a esponenti di altre culture rispetto a quanto avviene in altri contesti. Tale vivacità è innanzitutto un segno notevole che riguarda la presenza stessa della fede come fermento nel nostro Paese. Troppo spesso si odono (e leggono) intellettuali pensosi lamentare una «assenza» o un «vuoto» della cultura cattolica, le cui cause vengono di volta in volta imputate a motivi diversi, più o meno fantasiosi. Forse misurano tale assenza guardando a quanto spazio – pochino, in genere – i loro giornali offrono a punti di vista 'cattolici'. Ma appunto tale strana fioritura, accanto ad altri fenomeni, sta dicendo qualcosa di diverso. Ovvero che la curiosità intellettuale che anima il mondo cattolico non è parte secondaria della vita del Paese perché non è secondaria nella vita della fede. Una fede che non diventa cultura, avvisava Giovanni Paolo II e ripetono i suoi successori, sarebbe destinata a diventare pietismo o sentimentalismo. E di certo una fede ridotta a sentimento pietistico farebbe comodo a tanti, specie a chi ritiene di possedere la vera cultura o il vero libero pensiero.  Il cristianesimo non è una cultura. Non si è cristiani per un motivo culturale. E non basta nemmeno un assenso a certi acquisti della cultura o della concezione cristiana della vita (come per esempio il valore della persona in quanto tale o, in particolare, della persona debole) perché tali acquisti permangano o si sviluppino. Eliot avvisava che se si taglia il ramo di tali valori dalla pianta (la luce della fede sull’uomo) che li crea, non ci si può stupire che – come sta accadendo – tali rami si secchino. Pensate, diceva il poeta, di poter godere delle conseguenze senza nutrire la radice da cui provengono? E dunque la fede non è un sistema o un discorso culturale interessante e da omaggiare.  Il cristianesimo non è una cultura. Ma ne genera tanta. Ovvero genera una passione per la vita e per i suoi nessi, i suoi problemi, le sue scoperte. Una lettura e una decifrazione. Una forza di creare connessioni, di lanciare nuovi legami, di sedimentare tesori e di farli rivivere. Tutto questo non avviene solo nei festival, ovviamente, ma si genera in stanze segrete di studiosi e di scrittori, in atelier di artisti, in biblioteche di studiosi, in conversazioni discrete. I festival ne sono in una certa misura la testimonianza e l’offerta. Che ne nascano in campo cattolico, diversi e di qualità, offre il segno di una fede viva. Che non resta, come qualcuno vorrebbe, entro il perimetro delle pratiche di culto o nelle pur necessarie opere di carità, ma diviene sguardo per comprendere dove siamo e come stiamo vivendo. Uno sguardo profondo. E libero.
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