Contro le bimbe nate e no disumanità da arrestare
venerdì 18 ottobre 2019

L’undici ottobre è stata celebrato in tutto il mondo l’ottavo International Day of the Girl Child, la Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze, istituita dalle Nazioni Unite con la risoluzione 66/170 del 2011. È un’occasione per sensibilizzare le famiglie, le popolazioni e i governi di tutta la terra sulla condizione femminile pediatrica e adolescenziale, che in diverse aree del mondo è ancora terribilmente ingiusta e disumana: abusi subiti, mutilazioni genitali, matrimoni precoci obbligati, maternità imposte con la violenza, discriminazioni su base sessuale, lavoro minorile e impossibilità di accesso all’istruzione sono alcuni dei tormentati volti di questa inaccettabile realtà. Il grido di queste fanciulle è «inedito e inarrestabile» – come recita quest’anno il titolo della Giornata (Unscripted and unstoppable) – e suona come un’accusa verso gli adulti e i loro rappresentanti istituzionali che consentono o tollerano tutto ciò.

A questo grido contro la discriminazione delle giovanissime mancano però milioni di voci ogni anno: sono quelle delle bimbe mai nate. O uccise subito dopo la nascita. Centinaia e centinaia di milioni di vite cancellate nei cent’anni che sono alle nostre spalle. Ma concentriamoci sulle bambine concepite nel grembo materno al pari dei maschietti e, come loro, cresciute per alcuni mesi in utero. Uccise intenzionalmente, però, con l’aborto selettivo dopo che ne era stato individuato il sesso attraverso la diagnostica prenatale. Gli Stati dove è maggiormente praticato l’aborto selettivo ginecofobico sono l’India (pur essendo proibito dalla legge di questa nazione) e la Cina, seguite da Pakistan, Vietnam, Corea, Malaysia, Azerbaijan, Armenia e Georgia. Come ha ricordato Tehmina Arora, direttore di Adf India, negli ultimi dieci anni in questo Paese è stata impedita la nascita di 63 milioni di bambine attraverso quello che viene chiamato «gendericidio».

Lo documenta inesorabilmente il rapporto maschi/femmine nel censimento della popolazione, che risulta decisamente sbilanciato a favore dei primi. «La distorta ripartizione dei sessi dimostra che l’India ha tradito le donne – prosegue Arora – ed è giunto il momento di affrontare il problema perché ogni bambino è prezioso e maschi e femmine hanno lo stessi diritto alla vita e alla libertà. Il futuro dell’India dipende dalle donne e chiunque ritiene che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini non può voltare lo sguardo dall’altra parte di fronte a ciò che sta avvenendo». Un dato statistico inoppugnabile, come ha documentato l’autorevole rivista medica The Lancetin uno studio del 2015: su 15,6 milioni di aborti volontari che avvengono ogni anno in India (quasi 43mila al giorno), circa il 16% è di tipo selettivo ginecofobico.

L’aborto indotto per qualsivoglia scopo risulta inaccettabile perché «la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto o l’infanticidio sono abominevoli delitti» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 51). Tertulliano (ca. 155-230) già affermava che «è un omicidio anticipato impedire di nascere» (Apologeticum, IX, 8), e san Giovanni Paolo II dichiara «che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente» (Evangelium vitae, n. 62). Benedetto XVI aggiunge che l’aborto «non può essere un diritto umano» (7 settembre 2007) e rimane sempre «una grave ingiustizia» (5 aprile 2008).

Ed è proprio in riferimento alla fattispecie dell’aborto selettivo che giungono ulteriori, puntuali e incisivi i richiami di papa Francesco. «Si potrebbe dire che tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita». Un disprezzo che giunge fino a eliminare una figlia femmina quando essa può costituire un problema economico, familiare o sociale. «Un approccio contraddittorio [che] consente […] la soppressione della vita umana nel grembo materno in nome della salvaguardia di altri diritti. Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? Io vi domando: è giusto 'fare fuori' una vita umana per risolvere un problema? […] Non si può, non è giusto 'fare fuori' un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema» (10 ottobre 2018).

I gravi problemi di sviluppo e di accesso alle risorse materiali e culturali che gravano sulle donne in alcuni Paesi più che in altri non posso essere risolti impedendo loro di nascere, ma offrendo pari opportunità attraverso una promozione sociale della condizione femminile e una piena apertura delle giovani all’educazione scolastica e universitaria, alla formazione professionale e alle possibilità di impiego lavorativo, tutelandone concretamente il diritto alla maternità e alla cura familiare dei figli.

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