sabato 25 febbraio 2023
Ad un anno dall’approvazione della riforma del governo Sanchez, il bilancio dell’occupazione è positivo
I limiti ai contratti a termine introdotti dal governo spagnolo hanno stabilizzato l’occupazione contrastando la deriva prodotta dall’eccesso di flessibilità

I limiti ai contratti a termine introdotti dal governo spagnolo hanno stabilizzato l’occupazione contrastando la deriva prodotta dall’eccesso di flessibilità - .

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Passò in Parlamento il 3 febbraio 2022 per il rotto della cuffia, per un solo voto di differenza: 175 sì e 174 no. Per di più espresso per via telematica da un deputato dell’Unione del Pueblo Navarro, che votò a favore per errore, contro l’indicazione dell’alleato Partito Popolare. Sta di fatto che un anno dopo l’entrata in vigore, la riforma del lavoro voluta dal governo di coalizione di sinistra Psoe-Podemos, promossa dalla ministra del Lavoro Yolanda Díaz d’intesa con imprenditori e sindacati, ha cambiato il paradigma del mercato del lavoro in Spagna. Ha posto fine agli scandalosi tassi di temporalità, che hanno alimentato per decenni la precarietà, ha ridotto la disoccupazione record e moltiplicato per 4 i contratti “ indefinidos”, a tempo indeterminato diremmo noi, nel complicato contesto di incertezza segnato dalla guerra in Ucraina e dalla super inflazione.

Prima, i contrattini “ultracorti” o settimanali, inanellati senza limiti di tempo da camerieri o dagli operai edili, licenziati nei fine settimana o alla vigilia delle ferie, per non doverli pagare in tempo di riposo, erano la regola. Per non parlare dell’uso distorto dei contratti a termine dalle proroghe infinite in settori primari come sanità ed educazione, che secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro, accomuna Italia e Spagna. Tuttavia, mentre la prima sta adottando misure per facilitare forme di lavoro temporaneo e informale, la seconda si è mossa in senso opposto, con una stretta che ha limitato in maniera drastica la possibilità per le aziende di utilizzare contratti a tempo determinato, occasionali o giornalieri, perché siano l’eccezione. A gennaio, dei 1,2 milioni di nuovi rapporti di lavoro, 530.300 sono stati a tempo indeterminato. Questi ultimi sono passati dal rappresentare appena 1 su 10 dei contratti stipulati a oltre 4 su 10(44%), numeri mai visti in un mercato fortemente dipendente da attività stagionali come il turismo.

Un cambio riflesso nei dati dell’Istituto nazionale di Statistica (Ine), che nell’inchiesta sulla popolazione attiva nel quarto trimestre del 2022 ha registrato 1.591.100 salariati a tempo indeterminato in più che nello stesso periodo dell’anno precedente (+12,6%), per un totale di 13,9 milioni, anche questa una cifra senza precedenti nella serie storica di rilevamenti. Quelli a termine sono intanto diminuiti del 27,7%. « Il tasso di temporalità è sceso di 7,6 punti in un anno e, pur restando al 17,9%, si avvicina alla media europea del 15,5%», segnalano dal sindacato Union General de Trabajadores (Ugt). Nello stesso periodo in Italia è rimasto fermo al 17%. Per di più, gli occupati spagnoli superano oggi i 20,5 milioni e la disoccupazione è calata dal 13,3% al 12,9 nel 2022. « I senza lavoro sono meno di 3 milioni per la prima volta dal 2008 e ben lontani dai 6 milioni del 2013», rimarcano all’Ugt. Del boom di posti fissi hanno beneficiato soprattutto donne e giovani sotto i 25 anni (+142%), fra i quali il tasso di disoccupazione è sceso al 30%. Certo, è ancora altissimo, ma quasi dimezzato rispetto al 55% degli anni immediatamente successivi alla crisi del 2008, quando le precedenti misure varate dall’esecutivo conservatore di Mariano Rajoy, improntate alla massima flessibilità per ridurre il costo del lavoro e aumentare la competitività, aveva spinto legioni di giovani a emigrare.

Oggi tre su quattro under 30enni hanno un contratto a tempo indeterminato (76%) quando erano uno su due (47%) nel quinquennio 2017-2021. « Dopo un anno dall’approvazione, si può affermare senza timore di errore che siamo davanti al cambio del mercato del lavoro più importante, efficace e rapido della storia del nostro Paese », assicura ad “Avvenire” il segretario di Stato per il Lavoro e l’economia sociale, Joaquín Pérez Rey, padre putativo della riforma, che era peraltro una delle condizioni imposte dalla Commissione Europea a Madrid per accedere ai fondi NexGenEu. «Puntava a recuperare i diritti delle persone lavoratrici e l’ha fatto in modo nitido», aggiunge Pérez Rey. «Non solo abbiamo la migliore situazione occupazionale da 14 anni a questa parte, ma l’impiego per la prima volta va di pari passo con contratti stabili e diritti». In termini assoluti, gli iscritti alla Previdenza sociale a fine anno erano 2,3 milioni in più che a fine 2021.

Marcel Jansen, cattedratico di Scienze economiche e ricercatore della Fondazione di Studi di Economia applicata (Fedea) segnala, fra i punti forti, l’importante cambio in materia di contrattazione collettiva: « La riforma recupera il potere vincolante dei contratti di settore, derogato nel 2012, sopprimendo la capacità di quelli d’impresa di fissare salari inferiori alla media settoriale», spiega ad “Avvenire”. «Colpisce le sub-contrattazioni o esternalizzazioni tenute comunque a rispettare le condizioni salariali collettive. Elimina i contratti “per opera e servizi”, per evitare gli abusi, limitandoli a un massimo di 6 mesi e solo per circostanze legate alla produzione, come un aumento occasionale e imprevedibile o per rispondere a contingenze prevedibili di durata ridotta, per esempio legate alle sostituzioni nei periodi di ferie. Per il resto, rafforza i contratti a tempo indeterminato come via d’accesso ordinaria al mercato del lavoro». Allo stesso tempo, si incoraggiano i datori di lavoro ad assumere i lavoratori saltuari ampliando il ventaglio dei contratti fissi-discontinui, una formula che in Italia non esiste, ampiamente impiegata in Spagna nell’agricoltura, nella ristorazione e nei servizi. Si potenziano come contratti a tempo indeterminato, per dare stabilità e sicurezza, definendo in anticipo il periodo di lavoro, perché i salariati possano pagare la previdenza sociale e accedere ai sussidi di disoccupazione nei mesi in cui non lavorano e, allo stesso tempo, per dare alle aziende la sicurezza di disporre di personale qualificato.

Javier Fernandez, da 4 anni agricoltore in una serra per la coltivazione di cetrioli a Murcia, dopo tanta precarietà ha potuto apprezzare i vantaggi: «Come fisso-discontinuo posso accumulare l’anzianità, affittare una casa o avere un permesso per assistere mia madre anziana», assicura. Il settore agricolo, fino a un anno fa penalizzato dal 50% dei contratti temporali, è quello più favorito dalla nuova regolazione e dove i posti fissi-discontinui sono aumentati del 40%. Lo hanno comprovato anche le 10mila raccoglitrici marocchine di fragole, contrattualizzate ogni anno a Huelva come giornaliere, le più vulnerabili, ora con rapporti lavorativi rinnovati in origine. « I 7 milioni di contratti indefiniti chiusi in un anno grazie alla riforma frutto dell’accordo fra le parti sociali sono persone che hanno migliorato le loro condizioni di vita», rileva Pepe Alvarez, il segretario generale di Ugt, che ha creato un Osservatorio «per vigilare e promuovere l’applicazione della normativa nelle aziende, molte volte restie a compierla». Sottolinea anche il ruolo decisivo degli Erte, la cassa integrazione sovvenzionata, che ha permesso durante la pandemia flessibilità alle imprese, non più costrette a ricorrere ai licenziamenti, potendo “congelare” i livelli occupazionali, con riduzioni temporanee di personale.

«L’ altra chiave – sottolinea Marcel Jansen – è l’aumento del salario minimo interprofessionale, cresciuto del 45% dai 735 euro al mese di inizio legislatura, ai 1.080 euro per 14 mensi-lità, con l’ultimo aumento di 80 euro in vigore da gennaio, che ha portato la Spagna dai livelli retributivi più bassi in Europa al 60% del salario medio del continente». Dall’ultimo incremento, che beneficia tutti i lavoratori dai 16 anni, si è smarcata la Confindustria spagnola. « L’esecutivo ha ignorato le critiche di analisti che segnalano il rischio di impatto, per l’incremento dei costi di energia e carico fiscale per le imprese, sui livelli occupazionali dei salariati meno qualificati», segnala l’economista di Fedea. Che tuttavia enfatizza «le tante luci sulle rare ombre della riforma».

«Spagna e Italia condividono la precarietà dell’impiego – osserva ancora Jansen – e le cifre di Madrid dimostrano l’ampio margine esistente per limitare la contrattazione temporale che ha lasciato senza protezione i lavoratori, per migliorare la qualità dell’impiego e aumentare il salario minimo. Con scelte in linea con altri Paesi europei, alle quali anche Roma – conclude – dovrebbe guardare con attenzione e con la stessa ambizione».

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