sabato 5 novembre 2011
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Non abbiamo bisogno di soldi. Non dovremo, almeno per ora, subire l’umiliazione di chiedere un prestito d’emergenza al Fondo monetario internazionale. Silvio Berlusconi fa sapere che ci è anche stato offerto, ma abbiamo cortesemente declinato. Il presidente del Fmi ha un’altra versione: non c’è stata alcuna offerta di fondi, perché per l’Italia basta «il monitoraggio fiscale». Al di là di come siano andate realmente le cose, pesa il giudizio della francese Christine Lagarde, direttrice del Fondo: «Il problema è una mancanza di credibilità delle misure che sono state annunciate». Una crisi di fiducia «grave» come non ha mancato di sottolineare lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sollecitando per l’ennesima volta risposte responsabili.Siamo il secondo produttore industriale d’Europa e la decima potenza mondiale. Grazie al lavoro e all’impegno di tanti il "made in Italy" è ancora considerato sinonimo di qualità e creatività, ma siamo etichettati come poco credibili. Anni di guerra (anche istituzionale, anche mediatica) senza esclusione di colpi, di rivelazioni incresciose, di battutismo al vetriolo hanno lasciato un segno profondo. Non sono giudicati degni di fiducia il governo e chi lo guida: nonostante una per certi versi straordinaria tenuta dei fondamentali della nostra economia nella congiuntura più difficile che si potesse immaginare, faticano sempre più a convincere i partner dell’area euro e il premier sconta ormai un evidente rapporto conflittuale con il "direttorio" franco-tedesco. Non è ritenuta credibile una maggioranza che c’è o forse no, scossa dalle strategie non più convergenti di Pdl e Lega, appesa a dichiarazioni di singoli deputati, frammentata tra prese di posizione a metà, lettere critiche non firmate, movimenti sottobanco. E non lo è neppure un’opposizione, che nasce plurale centrosinistra Pd-Idv da una parte, centristi Udc dall’altra, ma che oggi nella sua parte principale appare strabica. C’è chi insegue sogni di accentramento, chi esplosivi ricominciamenti, chi lavora a prospettive neo-unioniste, con un preoccupante deficit di programma su questioni roventi. Ad esempio, qualcuno è in grado di dire quale sia la posizione del Partito democratico sul mercato del lavoro? Quella riformista di Pietro Ichino e di altri 54 senatori è stata subito sconfessata dal resto del partito. Persino le parti sociali – che la scorsa estate si erano impegnate per un programma concertato di riforme possibili – di fronte alle prime contraddizioni su previdenza e licenziamenti sono tornate a dividersi secondo i tradizionali schieramenti di (legittimo) interesse.A fronte di tutto questo, il monitoraggio trimestrale da parte del Fondo monetario del risanamento dei nostri conti pubblici è persino una buona notizia. Più che un "commissariamento", potrebbe essere in realtà l’occasione per ottenere una valida certificazione internazionale del nostro stato di salute reale e dei nostri progressi. Dal Fmi potrebbero arrivare quelle "A" che le agenzie di rating, gravate da mille conflitti d’interesse, ci negano. Ma per ottenerle occorre davvero decidere e fare, adesso e non domani. O aspettando una possibile primavera elettorale comunque troppo lontana da venire... C’è da predisporre progetti di legge, approvarli in Consiglio dei ministri, portarli in Parlamento. E lì misurare, secondo il metro democratico, il consenso e le reali possibilità di governare il Paese. I provvedimenti da assumere sono ampiamente noti. E questo è un tempo di conti da risanare definitivamente, non da regolare.
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