mercoledì 18 marzo 2020
La trasmissione della Covid-19 si deve ai «mercati umidi» cinesi. Ma è lo stile di vita occidentale a favorire le epidemie
Maggiori problemi dove lo smog è più alto

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L’effetto dell’Antropocene nelle emergenze virali di oggi Quando ricostruiremo come tutto è cominciato, adottando un quadro d’insieme e non un singolo dettaglio, sarà chiaro che la pandemia di coronavirus è nata dallo stress che l’Antropocene (l’era geologica attuale, che risente degli effetti dell’azione umana) ha inflitto agli ecosistemi planetari. Sarà poi evidente che questa pressione, più che danneggiare la Terra, possa ledere l’esistenza della comunità umana così come la conosciamo. Proprio come stiamo vedendo in questi giorni.

E così un virus che rispetto ad altri già visti è più contagioso che mortale, nell’era della globalizzazione – finanziaria e non sociale – ha la forza di far saltare i nostri fragili equilibri socioeconomici. E forse donarci una nuova comprensione. Quando ricostruiremo come tutto è cominciato, adottando un singolo dettaglio e non un quadro d’insieme, penseremo ad un animaletto che nel nostro immaginario narrativo, da Dracula a Batman, è demone o salvatore: il pipistrello. Inconsapevolmente, è stato lui l’ospite originale del coronavirus che poi attraverso il contatto con un altro animale è arrivato all’uomo.

E non solo: sempre il pipistrello ha ospitato per primo Ebola, Sars, Mers. Oltre a questi virus, secondo uno studio recente condotto da un team di ricercatori dell’Università La Sapienza, anche Zika, H1N1 sono pandemie di origine zoonotica: trasmesse cioè dagli animali, soprattutto selvatici (come raccontato da Michela Dell’Amico su “People for Planet”). La diffusione del coronavirus è avvenuta, proprio come la Sars nel 2003, attraverso i “mercati umidi” cinesi, dove sono venduti animali macellati di vario tipo: ad esempio pesci, polli, asini, ricci o serpenti. Questione di igiene pubblica o pura sfortuna? No, è il nostro modo di vivere ad essere veicolo di queste malattie infettive. “Nostro”: sia lo stile di vita occidentale che orientale concorrono a creare le cause di diffusioni virali che possono avere diffusioni pandemiche. Perché questi presupposti sono molto più profondi e complessi e riguardano i principi di sostenibilità della vita umana.

L’Unep (United Nations Environment Programme) ha scritto chiaramente nel rapporto “Frontiers 2016” che le zoonosi (malattie trasmesse dagli animali all’uomo) «sono in aumento, mentre le attività antropiche continuano a innescare distruzioni inedite degli habitat selvatici (...) e minacciano lo sviluppo economico, il benessere animale e umano e l’integrità degli ecosistemi ». Come ci racconta l’attualità, queste affermazioni del 2016 non erano al- larmistiche. L’Unep stima poi che nel corso degli ultimi vent’anni le malattie emergenti hanno avuto un costo di oltre 100 miliardi di dollari e che «questa cifra passerebbe a diversi miliardi di dollari se le epidemie si trasformassero in pandemie umane». La nostra storia ci racconta che le esplosioni virali non sono una novità di questo secolo. Ma dal secondo Dopoguerra, in quella fase di espansione umana che gli studiosi ambientali chiamano “The Great Acceleration”, alcune condizioni sono cambiate e hanno contribuito alla trasformazione delle infezioni un tempo circoscritte in epidemie e pandemie. Si tratta del sovrappopolamento urbano nelle metropoli, della deforestazione, della grande intensificazione degli allevamenti intensivi, della modifica dell’uso del suolo, del commercio illegale della fauna selvatica: fenomeni – come ha spiegato Mario Tozzi su “La Stampa” – che hanno portato alle migrazioni di molte specie animali e alla contaminazione di habitat umani con microrganismi sconosciuti. E forse non è un caso che i focolai epidemici abbiano trovato terreno fertile in zone molto inquinate, come la provincia di Hubei o la Pianura Padana.


Il dramma climatico può comportare un altro effetto. In un ghiacciao del Tibet sono intrappolati 33 gruppi di virus che con il disgelo verrebbero liberati nell’aria e potrebbero contaminare le falde acquifere

D’altro canto, in questi giorni si è parlato molto dei benefici per l’ambiente dovuti allo stallo delle attività umane. In Cina, si sono rivisti cieli azzurri su Pechino e altre grandi città, e le mappe della Nasa hanno mostrato come siano quasi scomparse le tracce di diossido di azoto sul paese del Dragone, dove si sono registrate riduzioni di CO2 di quasi un quarto rispetto alle emissioni ordinarie. E che dire di casa nostra? Il progressivo lockdown che adesso coinvolge l’Italia intera è partito dal Nord dove l’aria di città come Milano e Torino ha già tratto grandissimi benefici. Anche in questo caso, girano mappe che mostrano come l’aria sulla Pianura Padana sia ora più pulita. E Milena Gabanelli nel suo Dataroom ha calcolato che lo stop di «una settimana di riscaldamenti spenti (nelle scuole), due settimane di minor traffico automobilistico e aereo (ed esclusi i consumi di riscaldamento delle aziende chiuse) ammonta ad una minor emissione di CO2 per 428.000 tonnellate». Equivalenti alle emissioni annuali di città come Bergamo o Monza. Uno studio della Società italiana di medicina ambientale (Sima) con le Università di Bari e di Bologna ha dimostrato che il particolato atmosferico, il Pm10, accelera la diffusione dell’infezione di Covid–19: le alte concentrazioni di polveri fini a febbraio in Pianura Padana hanno dato un’accelerazione anomala all’epidemia, soprattutto nelle zone focolaio.

Tutti noi vorremmo però tornare al “mondo di prima”. Il paradosso è che quello stesso mondo è stato ferito gravemente dalla pandemia che esso stesso ha indirettamente contribuito a innescare, attraverso una globalizzazione che ha inasprito disuguaglianze economiche e condiviso devastazione ambientale. Perché quel mondo era anche quello che correva e inquinava senza coscienza, quello denunciato dai ragazzi dei Fridays for Future e dagli attivisti di Extinction Rebellion. Quello che ci ha portato a registrate l’inverno più caldo mai registrato in Europa dal 1981: 1,4 gradi in più quest’anno rispetto all’inverno 2015–2016, che finora era stato considerato il più caldo in assoluto. Quello che in Italia ha portato al febbraio più caldo di sem- pre con 2,76 gradi in più e l’80% di piogge in meno rispetto alla media storica. Quel mondo che sempre secondo l’Oms – che è diventata in questo momento grave un faro in questa notte epidemica – dovrebbe rallentare fino quasi a fermarsi per disinnescare la pandemia di coronavirus è lo stesso dove le calotte glaciali dell’Antartide e della Groenlandia si stanno sciogliendo sei volte più rapidamente che negli anni ’90, con due gravi effetti: l’innalzamento del livello dei mari di oltre 70 centimetri entro il 2100 e 400 milioni di persone a rischio di inondazioni costiere che probabilmente dovranno abbandonare le loro case. E questo dramma climatico può comportare un altro effetto oggi molto comprensibile, riassunto da uno studio americano, dal valore emblematico, su un ghiacciaio del Tibet. La ricerca ha rivelato che lì vi sono intrappolati 33 gruppi di virus (dei quali 28 sconosciuti), che con il disgelo verrebbero liberati nell’aria e potrebbero entrare in contatto con le falde acquifere. Ecco, questi sono alcuni dei frutti dello stile di vita del mondo che si è appena fermato. E che fermandosi a causa della pandemia sta ferendo a morte la nostra economia.


I focolai epidemici hanno trovato terreno fertile in zone molto inquinate, come la provincia di Hubei o la Pianura Padana. Alcune ricerche correlano smog e contagi

Una ferita insanabile che deve diventare un’occasione di rigenerazione per affrontare in modo rapido ed efficace la crisi climatica. Anche perché, una volta superata questa profondissima crisi attraverso coraggio, disciplina e razionalità, tutti i finanziamenti possibili dovranno essere volti a salvare le imprese e il nostro tessuto economico. Ma quando ne usciremo, saremo diversi: la nostra visione del mondo sarà cambiata per sempre, coniata da un’esperienza collettiva traumatica e profonda. Che può e deve risvegliare la nostra coscienza. Questa pandemia è una parentesi tragica che può innescare un’opportunità concreta, un’occasione epocale per vincere le grandi sfide del nostro tempo e le principali concause dell’attuale pandemia di coronavirus. Che sono fondamentalmente climatiche e ambientali.

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