venerdì 20 gennaio 2012
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​Caro direttore,
ho letto l’articolo di Gigio Rancilio sull’annunciato spettacolo di Castellucci a Milano, pubblicato su Avvenire il 12 gennaio scorso. Lo trovo opportuno e ben fatto, solo che mi sarei aspettato un tono più energico e deciso. Infatti non c’è dubbio che un evento come questo ripropone in modo molto serio la questione della libertà dell’arte e della religione, in connessione con la pacifica convivenza civile, il rispetto dei diritti altrui, e con una particolare attenzione ai diritti dei minori. Il discorso si potrebbe allargare alla grave questione dell’escalation della persecuzione contro i cristiani nel mondo. Non bisogna forse difendersi? Davanti a episodi di questo genere occorre evitare indubbiamente sia lo sdegno eccessivo e anacronistico, rischio degli ambienti tradizionalisti, quanto quell’atteggiamento opportunistico e di indifferenza proprio degli ambienti modernisti, i quali, credono in tal modo di mostrare un superiore equilibrio che dà ragione tanto a Cristo quanto a Beliar. Non è vero che parlare di queste cose vuol dire pubblicizzarle, ma significa illuminare chi potrebbe essere sedotto. Ora bisogna dire che effettivamente deve pur esserci un punto di equilibrio fra i suddetti due estremi. Esso ci è dato da una sapiente conciliazione del rispetto per il sacro, più sentito dai tradizionalisti, col rispetto per la libertà religiosa, più compresa dai progressisti. I veri interessi religiosi toccano l’intimo della persona, attengono alle sue convinzioni più salde, alle sue scelte più irrevocabili, la coinvolgono totalmente, perché riguardano un destino futuro che può essere o di eterna felicità o di eterna dannazione.
Invece, nelle moderne società occidentali scristianizzate si crede di dar prova di "modernità" e di magnanimità col relativizzare gli interessi religiosi, considerando bigotti, oscurantisti e fanatici coloro che, pur di non rinunciare alle loro idee, patiscono umiliazioni e sofferenze di ogni genere sino a dare la loro stessa vita. Gradatamente e faticosamente l’Europa ha scoperto il valore giuridico della libertà religiosa, mentre in realtà, come principio morale, essa è sempre stata praticata in quanto, come dice il Concilio Vaticano II, ha la sua radice nella stessa Rivelazione cristiana. È l’applicazione di questo principio, rettamente inteso, che consente di conciliare i due termini apparentemente opposti dell’oggettivismo del valore religioso con la soggettività della coscienza singola o di gruppo. Indubbiamente in questa libertà deve restare un limite oggettivo e invalicabile, pena la negazione della stessa libertà religiosa e al limite la compromissione di una decente e tollerabile convivenza umana.
Così pure anche la "libertà dell’arte" non può essere il pretesto per fare tutto quello che ci viene in mente, anche se abbiamo al nostro seguito una claque, altrimenti di questo passo si potrebbe giungere a giustificare anche i lager nazisti e comunisti dicendo che furono costruiti "ad arte" o l’attentato alle Twin Towers di New York sotto pretesto che fu organizzato "ad arte". E anche queste "opere d’arte" ebbero il loro pubblico che le approvò.
Bisogna infine tener conto di un’altra cosa: la varietà delle circostanze. Le tradizioni religiose europee, cattoliche o non cattoliche, variano da luogo a luogo. Un equilibrato sistema giuridico non può non tener conto di queste differenze. L’articolista ha notato che lo spettacolo di Castellucci è passato senza troppi guai in altri Paesi europei. In Francia invece c’è stata una reazione e c’è già anche in Italia. Tale reazione non va legata in noi italiani e francesi a un complesso di inferiorità nei confronti dei Paesi nordici, ma al contrario deve essere motivo di vanto.
padre Giovanni Cavalcoli, OP Bologna
La ringrazio, caro padre Cavalcoli, per gli apprezzamenti riservati al lavoro giornalistico di Gigio Rancilio. E proprio per questo mi interrogo a mia volta sulla domanda-ramanzina riguardo al tono scelto dal mio ottimo collega. Tono che a me è sembrato opportuno e utile tanto quanto il contenuto dell’articolo. Qual è infatti il compito di un cronista che scrive per rendere avvertiti i lettori su un’opera teatrale volutamente provocatoria, addirittura offensiva, ma anche oggetto di semplificazioni-deformazioni da parte sia di chi vuol promuoverla sia di chi la contesta? Informare nella maniera più seria e onesta possibile, aiutando a farsi un’opinione sui fatti e non su chiacchiere, oppure apparire «energico» e «deciso»? Io trovo che i miei colleghi siano stati, e a più riprese, davvero equilibrati (come lei auspica) ed efficaci. Così come so che una parola molto saggia e illuminante è stata detta, già prima che lei mi scrivesse, dall’Ufficio comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi di Milano. È davvero esemplare quel richiamo al rispetto dell’autentico senso della «libertà di espressione» (e sui doveri che ne derivano anche a chi realizza e organizza queste espressioni...), sul rispetto della «sensibilità» cristiana e sulle modalità (mai eccessive..) per difendere i propri sentimenti religiosi. E infatti ieri, ma questo lei lo sa bene, è a quella parola che ci si è richiamati nelle ferme e composte risposte che un’altra sua lettera – che aveva indirizzato l’8 gennaio a Papa Benedetto XVI – ha suscitato da parte della Segreteria di Stato e della Sala Stampa della Santa Sede (ne diamo conto a pagina 31). Per il resto, caro padre, trovo assai acute e stimolanti le sue notazioni su libertà dell’arte e libertà religiosa. Con una postilla: non siamo certo di quelli che usano nutrire «complessi di inferiorità nei confronti dei Paesi nordici», ma non siamo neppure tra coloro che ritengono che i cattolici italiani su questi (e altri) temi, possano farsi imporre linee di condotta da certi ambienti francesi noti per i loro «eccessi» polemici in diversi campi. Purtroppo, dolorosamente, anche contro la stessa Chiesa, il Concilio e il Papa...
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