Celine si guadagna le ali e racconta la scuola che è «casa dei sogni»
sabato 4 luglio 2020

Caro direttore,​
sono una studentessa di 18 anni che abita a Bergamo. Sono figlia di genitori stranieri: sono nata e cresciuta in Italia. La prima e unica lingua e cultura che i miei genitori mi hanno insegnato da quando sono venuta al mondo è quella italiana. La cultura di origine dei miei genitori mi è quasi completamente estranea. A gennaio, dopo 18 anni, mi hanno consegnato un mio diritto, un diritto molto prezioso per me e per molti altri miei coetanei figli di stranieri residenti: la cittadinanza italiana.
Sin da quando ero piccola, il mio sogno è sempre stato lo stesso: diventare astronauta. Ho sempre saputo che la strada che voglio intraprendere sarebbe stata difficile e, per questo, mi sono impegnata sin dall’inizio in tutto: scuola e sport. I miei genitori hanno fatto (e tutt’ora fanno) molti sacrifici per assicurare a me e ai miei fratelli di poter andare nelle scuole migliori e che in generale non ci mancasse nulla. Dal 2015 al 2018 ho frequentato un liceo scientifico aeronautico: desideravo molto fare esperienze di scambio all’estero dove avrei acquisito un bagaglio culturale linguistico e che mi avrebbe aperto a nuovi orizzonti. Però ogni anno vedevo che tali viaggi erano costosi e i miei genitori non potevano permettersi tale spesa, essendo cinque in famiglia e con mio padre che, ai tempi, non lavorava. Nonostante ciò non ho mollato le ricerche e, grazie alla mia determinazione, ho trovato una scuola che rispecchiava esattamente il mio ideale di scuola: il Collegio del Mondo Unito, 18 scuole internazionali sparse in tutto il mondo dove i ragazzi, provenienti da diverse culture, religioni e situazioni socio-economiche, studiano secondo un programma scolastico internazionale prestigioso (Baccalaureato Internazionale), credendo nell’educazione come una forza che unisce i popoli. Inoltre, il Collegio offre borse di studio in base alla situazione economica della famiglia dello studente. Non ho perso tempo e mi sono iscritta alle selezioni, un processo dove mi sono messa alla prova con ragazzi in gamba provenienti da tutta Italia. Alla fine sono riuscita a entrare nel Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico (UwcAd, Trieste) in un progetto sostenuto dalla Fondazione Cariplo. Questa è stata una grande soddisfazione e manna dal cielo sia per me sia per la mia famiglia: un’opportunità e come primo passo per la realizzazione del mio sogno.
Da poco mi sono diplomata e grazie al Collegio del Mondo Unito ad agosto partirò per gli Stati Uniti, dove studierò Ingegneria Aerospaziale all’Università di Oklahoma con una borsa di studio totale. Desidero molto condividere la mia storia con i miei coetanei e anche con giovani più grandi per ispirarli e incoraggiarli a osare sognare e a non smettere e di combattere per il proprio sogno. Spero, direttore che mi dia l’opportunità di condividere questa storia attraverso il suo giornale. Grazie e cordiali saluti

Celine Polepole
UwcAd 2018-20

Spero, cara Celine, che tanti ragazzi si soffermino su questa sua lettera e capiscano il valore della storia semplice e straordinaria che racconta. Ma spero che lo facciano anche tanti altri lettori, abituali od occasionali, di ogni età. Da qualche settimana, per diversi motivi e con diversi interventi (che anche in questa domenica sul nostro giornale non mancano), in Italia si sta parlando parecchio di scuola, del suo ruolo, della sua natura accogliente e della sua organizzazione, ovvero della necessità di renderla in grado di accompagnare il cammino di scolari e studenti al meglio, in sicurezza, con ragionevole continuità.​Certo, la scuola deve essere e garantire tutto questo, ma lei ci racconta qualcosa di bello e di specialmente proprio del luogo che – assieme e accanto alla famiglia e, per chi crede, alla comunità di fede – contribuisce in modo decisivo alla formazione di una persona. Ci ricorda, cioè, che la scuola può e deve essere la "casa dei sogni" dei giovani. Non solo la sede di un obbligo da assolvere, di scomode discipline da capire e magari subire, non solo un tempo inesorabilmente segnato e assegnato, ma il posto che offre pari opportunità a rutti e tutte e dove il desiderio mette le ali. Uso questa stupenda parola, purtroppo abusata e sporcata dall’ingordigia e dalla polemica, nella sua accezione radicale e più vera. Il desiderio è la coscienza delle "stelle mancanti" (de-sidera). È la spinta a cercarle, le stelle, a trovarle e a toccarle.
Cercare, trovare e toccare le stelle, con tenacia e intelligenza, per diciotto lunghi anni in questo lembo di mondo che ci è patria, che lei ama e sente sua, proprio come me e che possiamo concepite come tale grazie alla cultura di cui lei si sente partecipe e che vive sin dalla nascita, ma che in quanto figlia di immigrati s’è dovuta guadagnare poco a poco (assieme alle benedette borse di studio di Fondazione Cariplo); e che suo padre e sua madre a loro volta hanno dovuto letteralmente guadagnare per lei. Cercare, trovare e toccare le stelle, il "mestiere" che lei vuol fare, domani, e non per metafora, ma navigando lo spazio che ci circonda.
Sì, la scuola è – bisogna che sia – la "casa dei sogni" (casa nostra, perché noi, come Shakespeare ci ha detto una volta per tutte, «siamo fatti della stessa sostanza dei sogni»). Anche per me la scuola è stata questa "casa", e ha contribuito a farmi cittadino d’Italia, d’Europa e del mondo proprio come lei, cara Celine, sebbene io non abbia frequentato il prestigioso Collegio che si è meritata. E le confesso che mi ha emozionato e commosso trovare nella sua lettera una consapevolezza che è sorella gemella della mia e la cronaca diretta e luminosa del suo desiderio così puro e bello, così impegnativo e aperto al futuro. Per prima cosa, perciò, le auguro che il "volo" che sogna, prepara e già sta vivendo sia lungo, ancora entusiasmante e, infine e per davvero, di astronautica profondità e altezza.
E poi, prima di salutarla, le spiego perché le sto dando del "lei" nonostante un primo e quasi irresistibile (e paterno) impulso a darle del "tu", come alla figlia che potrebbe essere per me. Le do del "lei" per rispetto. Un rispetto che non segna una vuota distanza, ma un pieno di stima e di affetto per la giovane donna che lei è; per un’italiana vera, senza paura e fresca di passaporto che – anche al tempo della pandemia – si prepara a completare gli studi negli Stati Uniti; per la figlia che rende omaggio ai sacrifici dei suoi genitori e a questo nostro strano Paese parlandoci di ciò che qui ha potuto realizzare e non insistendo su ciò che le è mancato o le è stato lesinato. Grazie, cara Celine. Ad astra

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