martedì 7 febbraio 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​È tornato il grande gelo. Non stiamo parlando delle condizioni meteo, ma delle relazioni internazionali, anch’esse colpite da un improvviso vento siberiano. Tra Russia e Occidente tira una brutta aria che ricorda i tempi della Guerra fredda. Il veto del rappresentante di Mosca, insieme con quello di Pechino, alla risoluzione dell’Onu sulla crisi siriana ha segnato il fallimento della diplomazia delle larghe intese perseguita in questi ultimi anni da Washington. «Una farsa disgustosa», è stato il duro giudizio della Casa Bianca, condiviso non soltanto dalle altre capitali occidentali, ma anche dalla Lega Araba, il cui piano di pace per fermare i massacri in Siria mette al primo posto l’allontanamento di Assad dal potere. Di fronte alla condanna pressoché unanime del regime di Damasco, Mosca si muove controcorrente e non intende cambiare rotta. La comunità internazionale vuole liberarsi di Assad? Non la Russia, il cui ministro degli Esteri lo incontrerà oggi a Damasco, una visita che assume un significato altamente simbolico, al limite della provocazione. L’alleanza del Cremlino con il regime siriano è un’eredità sovietica mai ripudiata. Si tratta dell’ultimo bastione russo in Medio Oriente, grande acquirente di armi da Mosca, con cui intrattiene forti legami commerciali. Solo nel 2011, tra Mig-29, carri armati T-72, missili anti-aerei e Cruise, la Russia ha fatturato in Siria oltre 11 miliardi di dollari. All’ex impero sovietico è rimasta un’unica base navale in acque calde, il porto siriano di Tartus, dove nelle ultime settimane s’è registrato un gran movimento. In questo Paese arabo che s’affaccia sul Mediterraneo, la Russia si gioca gran parte del suo prestigio internazionale. Ma non è questa l’unica ragione che spiega il ferreo sodalizio di Putin con Assad. Mosca è molto preoccupata per la deriva islamica radicale delle primavere arabe, che potrebbe "contagiare" i 30 milioni di cittadini russi di fede musulmana. Non va dimenticato che i movimenti fondamentalisti sono in crescita e rappresentano una minaccia reale nelle turbolente repubbliche del Caucaso. C’è poi l’ostilità sempre manifestata dal Cremlino nei riguardi delle strategie che mirano al "regime change". La vicenda libica pesa ancora. Dopo essersi astenuti al voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu che, nel marzo dello scorso anno, impose la no-fly zone sul Paese nordafricano per proteggere i civili dalla repressione di Gheddafi, i russi si sono sentiti ingannati. Nel giro di poche ore infatti la risoluzione dell’Onu venne usata per giustificare i bombardamenti della Nato sulla Libia. «Faremo di tutto per impedire lo stesso scenario in Siria», è la parola d’ordine che viene ripetuta come un mantra in tutte le sedi internazionali dai rappresentanti del governo russo. Per Putin è una questione delicatissima. Di fronte alle proteste di piazza che esigono un "regime change" anche a Mosca, alla vigilia delle elezioni presidenziali del 4 marzo, l’intransigenza manifestata in sede Onu contiene un messaggio ben preciso a uso interno: non siamo disposti a cedere alle interferenze dei Paesi stranieri che sobillano le rivoluzioni in casa altrui. Vale per la Siria. E vale, a maggior ragione, per la Russia. Come ai tempi della guerra fredda, dietro chi osa dissentire il Cremlino scorge la longa manus dell’Occidente. Il presidente americano Obama, anch’egli in campagna elettorale, dovrà tenerne conto. Il famoso "reset", il riavvio di buone relazioni con Mosca dopo l’era Bush, si è di nuovo inceppato. E gli ex nemici sono tornati rivali a tutto campo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: