mercoledì 5 dicembre 2012
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Il decreto 200 del ministero dell’Economia che assoggetta al pagamento dell’Imu le scuole libere che facciamo pagare una retta non meramente "simbolica", è profondamente sbagliato per due motivi. Il primo è che la regola europea che si pretende di applicare alla scuola libera è stata pensata e dettata per regolare gli scambi di beni e servizi sul mercato. L’Unione Europea raccoglie la eredità della vecchia Cee e rimane centrata soprattutto, anche se non esclusivamente, sulla regolamentazione del mercato interno. Possiamo affrontare esclusivamente in questo ambito i problemi della cultura e quindi della scuola libera che della cultura certamente fa parte all’interno di questo quadro concettuale? Evidentemente no. È stata la Francia a difendere in modo particolare, e anche di recente, il principio della "eccezione culturale", un principio riaffermato anche in pronunciamenti ufficiali delle autorità europee. Fra il 1993 ed il 1994 si svolse nel Parlamento Europeo ed in altre sedi istituzionali una discussione vivace che portò al riconoscimento di questo principio anche se con una estensione minore di quella desiderata dalla Francia. La ragione della "eccezione culturale" sta nel fatto che la cultura è un bene pubblico ed è interesse pubblico renderla disponibile a tutti o almeno alla sfera più ampia possibile dei cittadini. Quale cultura deve essere resa accessibile? Una cultura di Stato o una cultura dei cittadini che rispetti le diverse tradizioni culturali presenti in un Paese e, soprattutto, il diritto di scelta dei cittadini e delle famiglie? Io sono per questa seconda soluzione ma, in ogni caso, la scelta di come bilanciare questi due modelli spetta agli Stati membri. La tassazione del sistema culturale non può essere assimilata a quella del comune mercato delle merci e dei servizi. Esistono valori che possono legittimare trattamenti preferenziali per istituzioni culturali. Credo che in sede europea l’Italia debba comunque far valere il principio della "eccezione culturale". Ma immaginiamo per un momento di mettere da parte tale principio. E prendiamo come punto di partenza il principio di "libera concorrenza" che la norma europea vuole tutelare. È evidente che se di due imprese che competono sullo stesso mercato una paga più tasse di un’altra si determina uno squilibrio competitivo ingiustificato. Ma chi è il competitore svantaggiato dalla concessione di una facilitazione fiscale alla scuola libera? La scuola di Stato? Ma la scuola di Stato gode nella competizione con la scuola libera di vantaggi straordinari. I conti sono pagati dallo Stato ed essa è in grado di offrire i suoi servizi gratuitamente. Se esiste una sbilancio competitivo questo è totalmente a danno della scuola libera.Ma c’è di più. Anche rinunciando a esentare la scuola libera dall’Imu sulla base della "eccezione culturale", anche facendo a meno di evocare il fatto evidente che la esenzione dall’Imu non viola nessun principio di libera competizione, resta il fatto che la scuola libera è comunque diversa da una qualunque attività per fini di lucro. La diversità è evidente. La gran parte delle scuole hanno dei deficit che coprono con donazioni o arrivano al massimo al pareggio di bilancio. Esiste tuttavia un pregiudizio che vuole che la scuola libera sia una "scuola per i ricchi". Non è vero. Molte scuole libere fanno i salti mortali e ricorrono a forme diverse di solidarietà per mantenere il livello più alto di accessibilità per tutti. È proprio questo sforzo che il decreto 200 promette di punire. Le vere scuole dei ricchi aumenteranno le rette senza problemi. Chiuderanno le scuole libere del ceto medio e dei poveri, e lo Stato pagherà alla fine molto di più per assicurare il diritto alla scuola dei cittadini. Inevitabile il dubbio: ma chi ha messo in movimento questa macchina da guerra contro la scuola libera voleva salvaguardare il principio liberale della concorrenza o punta a lasciare il campo educativo solo a una scuola di Stato?             
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