Buone cure e palliative non sfiducia nella scienza
venerdì 28 gennaio 2022

Caro direttore,
mi preme ribadirlo con forza: il suicidio assistito e l’eutanasia con cui mettere fine a una vita non sono la soluzione, nemmeno nei casi disperati di cui tanto si parla da qualche tempo. Perché lo riaffermo con convinta decisione? Perché giudico tali procedure una sconfitta di ciò che è umano e penso che accettarlo per un medico sarebbe catastrofico. Una simile opzione gli farebbe di continuo pensare al suo lavoro come a un fallimento. Negli ultimi decenni la medicina ha fatto, invece, passi da gigante e molte malattie prima ritenute incurabili oggi sono divenute curabili e guaribili.

Questo apre prospettive impensabili anche per i malati gravi. Ecco perché in genere appare oltremodo sbagliato parlare di aspettativa di vita e di fasi insorabilmente terminali. Eutanasia e suicidio assistito, oggi come ai tempi di Ippocrate, sono incompatibili con l’attività medica e in contrasto con quei diritti fondamentali di libertà e di coscienza che i medici rivendicano in tutta la loro portata, giuridica e umana, come anche il dovere di cura, così come lo impone il Servizio sanitario nazionale, che prevede, nella sua legge istitutiva, la tutela delle persone deboli e vulnerabili, il diritto alle cure e la salvaguardia della vita.

È importante valutare l’identità e il valore della vita, riconoscerne il limite che le appartiene e la caratterizza, in modo da tutelare e rispettare la vita stessa nella sua totalità, non consentendo a nessuno di modificarla o mortificarla nel suo dispiegarsi cronologico. Occorre pertanto affrontare i temi che riguardano le situazioni di confine nella prospettiva coraggiosa di una solidarietà competente, che aiuti, che sostenga e accompagni coloro i quali sono costretti a vivere situazioni di emarginazione, di sradicamento, di solitudine, situazioni tutte esistenzialmente impegnative. È indispensabile ridisegnare gli ospedali, affinché in essi non si incontrino solo camici e pigiami, ma le persone che vi si rivolgono siano accolte, abbracciate, prese per mano, confortate con passione, curate con terapie a tutto campo, non azzardate e mai accanite, ma sempre rispettose della dignità umana.

Purtroppo la legge sulle cure palliative, unica vera alternativa alle osannate soluzioni mortifere, dopo quasi dodici anni è largamente inapplicata, pur essendo stata promulgata nel rispetto di tre chiarissimi princìpi fondamentali: tutela della dignità e dell’autonomia del malato senza alcuna discriminazione; tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine; adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia. Lei, direttore, lo ha ricordato in dilaogo con Marco Cappato, uno dei promotori del referendum sulla legittimazione dell’omicidio del consenziente. E colpisce che in quella circostanza l’esponente dell’Associazione Coscioni le abbia lanciato un invito a un impegno comune per la vera applicazione della legge sulle cure palliative. Non si possono rovesciare le priorità. E questa battaglia di civiltà, condivisibile da tanti, persino da tutti, dovrebbe essere l’unica sensata priorità.

La legge 38 del 2010, infatti, è stata disattesa mentre, d’altro canto, nell’organizzazione sanitaria prevaleva la logica economicistica della aziendalizzazione, dimenticando che prima di ogni spinta di razionalizzazione delle cure o di opportunità di guadagno ci sono le inderogabili necessità degli ammalati. Come medico, e in particolare a nome dei medici cattolici che rappresento, mi considero in trincea contro l’eutanasia e il suicidio assistito e contro ogni abbandono terapeutico. Ai medici non può essere richiesto di causare o provocare la morte. Contro questo maldestro tentativo tantissimi medici, e certamente i medici cattolici, si rifanno al primato della coscienza.

Qualunque operatore sanitario che sia indotto o agisca per mettere fine alla vita di una persona tradisce la sua stessa missione di restare accanto al sofferente, indicando, valutando e somministrando caso per caso la proporzionalità delle cure. Umanità, cura, scienza e competenza devono viaggiare insieme, mai disgiunte, per fare della medicina un’arte che coinvolga mente e cuore, congiungendo conoscenza e compassione, professionalità e pietà, competenza ed empatia.

Presidente Associazione medici cattolici italiani (Amci)

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