A bordo dei mezzi pubblici della capitale in un giorno come un altro
domenica 3 marzo 2019

Per capire una grande città come Roma basta prendere gli autobus. Per capire problemi, fragilità, drammi. Per sentire e vedere paure e rancori, intolleranze e soprusi. Ma anche per incontrare cuori aperti e menti libere, tolleranze, solidarietà, comprensione. Autobus, concentrato di città. Da consigliare ai politici dalle facili ricette, e ai commentatori dalle analisi ancora più facili. Anch’io prendo l’autobus, malgrado il pessimo servizio della Capitale.

Lo prendo per evitare la nevrosi da traffico romano, sempre più 'cattivo', specchio di una città che tanti ormai faticano a riconoscere. Ma lo prendo anche per capire. Sì, per capire chi siamo e dove rischiamo di andare. Così come spesso la sera ritorno a casa a piedi, lungo le strade che rasentano la stazione Termini, luoghi di emarginazione e di disperazione, di delinquenza e di sfruttamento. Luoghi per capire la vera povertà, la vera solitudine, la vera estraneità. Come sugli autobus. «Ognuno è un cantastoria. Tante facce nella memoria. Tanto di tutto tanto di niente.

Le parole di tanta gente», cantava la romanissima Gabriella Ferri. E sugli autobus si raccolgono tante storie di tanta gente, se le si vuol vedere. Pochi giorni fa, linea 649, direzione Termini, primo pomeriggio. A una fermata salgono i controllori. Subito puntano due giovani immigrati. Soggetti sospetti o direttive precise? Non hanno il biglietto. Sbagliano, sicuramente. Scena già vista. Ma ecco una novità, un gesto che illumina per un attimo la scena. Una signora si fa avanti. 'Gli dò io i biglietti, eccoli'. Un piccolo gesto di generosità. Per sanare una piccola irregolarità. E poi gli immigrati sono appena saliti, proprio assieme ai controllori. Ma il bel gesto non basta. Niente da fare. 'Signora lasci perdere, non si può', è l’inflessibile reazione.

Poi la consueta e corretta richiesta dei documenti agli immigrati, come si fa per tutti, le difficili spiegazioni. I passeggeri osservano in silenzio. Nessuno accusa gli immigrati, nessuno infierisce, nessuno chiede che siano puniti. Nessuna parola razzista, nessun gesto intollerante. E anche questo è un segno di umanità. Forse solo un barlume, ma c’è. Solo un signore reagisce, si qualifica. È un uomo delle forze dell’ordine, intima agli immigrati di seguirlo. Per due biglietti non pagati? Un inutile e esagerato gesto di 'potere'. Brutto, davvero brutto. Cambia l’ora, cambia la linea e cambia la storia. È tarda sera e il 360 corre veloce verso il capolinea di piazza Zama, quartiere Appio Latino. Fermata dopo fermata l’autobus si svuota. Giunto al termine, anche io vado verso l’uscita ma l’occhio corre verso il fondo dell’autobus. C’è uno zaino a terra. Guardo meglio. Una ragazza dorme su un sedile dell’ultima fila. Non si è accorta che siamo arrivati. Scendiamo ma la 'curiosità' del giornalista non mi fa allontanare. Con discrezione osservo.

Mi aspetto uno scenata dell’autista. Già vista tante volte. Invece si avvicina, sveglia dolcemente lo ragazza. Poche parole. 'Parte quello davanti', dice indicando l’autobus parcheggiato. Evidentemente ha capito che la ragazza, italiana, vuole passare la notte sugli autobus. Non ha un tetto e almeno qui non fa freddo e tra capolinea e capolinea può anche dormire un po’. Non le chiede di scendere, non le chiede il biglietto. Ha capito in un attimo una storia di emarginazione. Sicuramente ne ha viste altre come del resto, da utente, anche io. Storie di vita da capolinea a capolinea, di chi non ha nulla se non uno zaino o qualche busta di stracci. La ragazza capisce che non viene cacciata, che può riprendere il suo sonno notturno sotto un tetto viaggiante. Scende in silenzio. Posa lo zaino a terra. Si nasconde tra due auto, per poi salire sull’altro autobus.

Anche questa è la vita dei senza dimora, dura e senza vergogna, che scandalizza, dà fastidio, muove a solidarietà. Una vita dove la strada è tutto, anche il bagno, e un autobus diventa l’unico ricovero possibile in una città che non sa o non vuole accogliere. Soprattutto le sue istituzioni. Dove non sarà un reddito di qualunque tipo a garantire vita e dignità, ma solo una rete di cuori sensibili e di menti aperte. Per chi non ha un tetto, basta un autista comprensivo. Buon viaggio sconosciuta ragazza, buon viaggio Roma.

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