giovedì 5 dicembre 2013
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La decisione con cui la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale politica – colpendo, in particolare, il premio di maggioranza e le liste bloccate – potrà essere valutata pienamente solo una volta che essa verrà scritta, con le annesse motivazioni. A questo giornale, che ha sempre chiesto l’archiviazione di quel pessimo sistema di voto che va sotto il nome di Porcellum, la "bocciatura" non dispiace affatto. Sin da ora, tuttavia, è difficile sottrarsi a una sensazione di sorpresa, sia dal punto di vista processuale, che riguardo al merito. Dal punto di vista processuale, infatti, la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile in base alla logica del giudizio incidentale di costituzionalità e ai precedenti consolidati sul punto. Riguardo al merito, invece, le assai diffuse critiche alla legge 270/2005, che si erano riflesse anche in un passaggio di una sentenza della stessa Corte del 2012 erano difficilmente traducibili in una dichiarazione di incostituzionalità senza determinare una netta invasione di campo da parte di un organo non democraticamente legittimato come la Corte. La sentenza può dunque essere criticata anzitutto in quanto rafforza la propensione degli attori sociali e politici a cercare nei poteri di garanzia la soluzione alla loro incapacità di risolvere i problemi, e prima ancora nel cercare una risposta giudiziaria a ogni questione. Come che sia, il comunicato stampa della Corte costituzionale offre elementi circa gli effetti di questa importante decisione.

Da un lato essa non ha caducato l’intera legge, con la conseguenza che sembra esclusa l’ipotesi della riviviscenza automatica della legge elettorale precedente (il Mattarellum). D’altro lato, essa ha colpito il premio di maggioranza, rendendo proporzionale il sistema elettorale. Più complesso è l’effetto della dichiarazione di incostituzionalità della mancata previsione di almeno un voto di preferenza: non è chiaro se, sul punto, la sentenza sarà configurata come una semplice pronuncia di accoglimento (da cui deriverebbe però l’assenza di una legge elettorale applicabile, almeno sino a quando non se ne approvi una nuova) o se essa sarà costruita come una "additiva", che crea immediatamente la regola (la preferenza unica), preservando l’operatività della legge elettorale. Il comunicato stampa della Corte offre altre due indicazioni. Esso precisa che gli effetti giuridici della pronuncia si produrranno al momento della pubblicazione della sentenza. Ciò è ovvio, ma forse si può vedere qui un invito a diffidare da interpretazioni apocalittiche della decisione della Corte: quelle che vorrebbero che, in conseguenza di essa, risultassero illegittimi l’attuale Parlamento, il governo cui esso ha dato la fiducia e il Capo dello Stato da esso eletto. In questo modo si darebbe una lettura eccessivamente forte della retroattività delle sentenze della Corte e in casi analoghi a questo (la dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale tedesca nel 2012) nessuno ha prospettato simili ipotesi. Infine è importante la precisazione che «il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali». Anche qui siamo nel campo dell’ovvio, ma è evidente che ora la palla torna nel campo della politica: i partiti non possono più sfuggire alla responsabilità di approvare una nuova legge elettorale, chiesta a gran voce da buona parte dell’opinione pubblica. Resterà da chiarire in quale rapporto tale legge dovrà collocarsi con la ineludibile riforma del bicameralismo. È vero, infatti, che il Porcellum era un pessimo sistema elettorale. Ma con l’attuale bicameralismo paritario molte riforme delle regole del voto a sé stanti potrebbero creare maggiori problemi di quelli da esse risolti.

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