Il sondaggio: razzismo «giustificato»
giovedì 16 novembre 2017

Se volessimo prenderla alla leggera si potrebbe ricordare quella famosa battuta per cui «Non sono io che sono razzista, sono loro che sono neri (o ebrei, omosessuali, terroni)». È che prenderla alla leggera probabilmente non si può più quando si legge in un sondaggio che per il 55% degli italiani il razzismo avrebbe delle giustificazioni. Più precisamente: per il 29% determinate forme di razzismo e di discriminazione verso alcune etnie, religioni od orientamenti sessuali «in alcune situazioni possono essere giustificate», per il 16% in «pochi specifici casi», il 7% «nella maggior parte», mentre un 3% ha le idee ben chiare: il razzismo è «sempre giustificato».

L’Italia che emerge dalla ricerca "Nella società del rischio le paure emergenti", condotta dalla Swg per conto della Legacoopsociali, è un Paese che negli ultimi anni appare decisamente incattivito. Piagato dalla crisi economica, non ha trovato nella politica risposte all’altezza delle sfide poste da un mondo in veloce cambiamento. E allora si ripiega su se stesso, individua nemici contro cui rivolgere le proprie frustrazioni – principalmente i migranti, i rom, ma pure ebrei e omosessuali – e sembra non vergognarsi più di teorizzare chiusure, discriminazioni, forme di razzismo appunto. Emerge un pessimismo rabbioso che cova e si fa largo in porzioni di società che si sentono «escluse» (ben il 68% del campione). Appena il 15% si sente «sereno», il 6% «appagato», mentre i tre aggettivi su cui si concentrano le autodefinizioni sono significativamente «ripiegati» (40%), «ruggenti» (32%) e «rancorosi» (28%).

Di fronte a un sondaggio, al di là di chi lo abbia svolto, la prima reazione è sempre la diffidenza, il dubbio sulla effettiva nitidezza della fotografia scattata su un campione necessariamente limitato, la possibile influenza del committente. E però basta passare una giornata a leggere i commenti sui social network per ritrovare quell’identico ripiegarsi, quello stesso ruggire di "leoni da tastiera", il medesimo rancore sputato come veleno.

Certo su Facebook o Twitter la comunicazione indiretta fa prevalere lo scontro, contrarietà e cattiveria risaltano più di consonanza e dialogo pacato, ma lo spaccato complessivo che si ritrova nel mondo virtuale evidentemente non è poi così diverso dalla realtà, per come emerge da questo e altri sondaggi simili. C’è una fetta d’Italia che oggi vede nero nel proprio futuro: il 70% prefigura per i prossimi decenni una società «povera», «vecchia», «frenetica» e soprattutto «ingiusta». Desidera fortemente un cambiamento, meglio una «rivoluzione» (ben il 41%) e addirittura un 25% è convinto che sia necessaria «una dittatura per 4-5 anni per ripulire a fondo il Paese».

Una dittatura, quindi, sarebbe non solo accettabile, ma auspicabile per un quarto della popolazione interrogata. Da non crederci. Fosse pure sovrastimato, però, il dato resterebbe impressionante. E, letto assieme alla giustificazione del razzismo, doppiamente preoccupante. A maggior ragione se riscontrato con le sempre più sfrontate provocazioni: dalle figurine con Anna Frank al saluto romano a Marzabotto. E infine di un’allarmante attualità, guardando a certi risultati elettorali: come ad Ostia dove l’estrema destra identitaria e anti-immigrati di CasaPound raccoglie quasi il 10% dei consensi. Sì, è vero, parliamo sempre di minoranze, in particolare per le elezioni locali, in cui la sempre più ampia astensione fa risaltare con grandi percentuali quelle che sono poche migliaia di voti in valore assoluto. E però proprio l’astensione crescente, così come il contrarsi della barriera di "resistenza", è questione decisiva.

Se davvero il razzismo che, per definizione, è un dis-valore diventa un’opzione perseguibile alla pari di altre; se un’ideologia perversa, senza basi scientifiche né sociali, per troppi torna a essere giustificata; se infine si desidera ancora, come un secolo fa, che una dittatura o un uomo forte "facciano pulizia" significa che i limiti democratici scricchiolano pericolosamente.

Le minoranze esagitate, di un fronte e dell’altro, ci sono sempre state e forse sempre ci saranno. Ma è la terra di mezzo a fare da argine, la maggioranza più o meno silenziosa, il buon corpo sociale del Paese profondo a evitare che il peggio tracimi con violenza. Quando questa terra di barriera viene erosa da un’informazione non corretta, da una politica isterica, dalla rabbiosa individuazione di un nemico 'diverso', e non trova in sé la solidità di ideali forti, l’aggancio di politiche non populiste, il rischio si fa concreto. Non è tanto dei razzisti e degli estremisti che bisogna aver paura, ma della mancanza di reazione, dell’assuefazione, dello scivolare generale verso l’indifferenza. È l’astensione dall’umanità che fa davvero terrore.

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