martedì 27 agosto 2013
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Gli 11.268 insegnanti che entreranno in ruolo dal 1° settembre sono tanti (come sostiene il governo) o sono pochi (come accusano i sindacati)? Sono certamente pochi se consideriamo le reali esigenze della scuola e i posti che così rimarranno scoperti (e dunque assegnati a supplenti annuali), non soltanto in relazione al cosiddetto «organico di fatto» (il numero di insegnanti che vengono concretamente impiegati ogni anno scolastico), ma anche all’«organico di diritto» (il numero di cattedre giuridicamente costituite).
L’assunzione a tempo indeterminato nelle file del pubblico impiego di oltre 11mila lavoratori è, però, un fatto significativo in tempi di draconiane politiche di contenimento della spesa, soprattutto mentre l’esecutivo – accanto ai problemi ben più gravi di 'tenuta' che si sono profilati nelle ultime settimane – ha, tra le grane di cui occuparsi, quella della stabilizzazione dei precari della Pubblica Amministrazione. Dunque anche un comparto pure molto grande come quello dell’Istruzione può dirsi moderatamente soddisfatto e provare a vedere il bicchiere mezzo pieno. Ma qual è l’identikit dei nuovi insegnanti di ruolo?
Non bisogna illudersi che – come aveva auspicato l’anno scorso il ministro Profumo nel bandire il concorso a cattedre (il primo dopo 12 anni) – queste immissioni in ruolo determineranno un significativo ringiovanimento della nostra classe docente, la più anziana d’Europa. Perché, per la legge del «doppio canale», il 50% delle nomine andranno fatte attingendo alle cosiddette «graduatorie permanenti», cioè le graduatorie degli abilitati, per le medie e le superiori, tramite i corsi delle Ssis (le scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario). Corsi poi aboliti dal ministro Gelmini, quando ci si rese conto che esse sfornavano molti più abilitati di quanti il sistema sarebbe mai stato in grado di assorbirne: e, infatti, oggi lo si vede bene. Costoro sono i docenti che i giornali spesso indicano con la formula sbrigativa (e per la verità un po’ ossimorica) di «precari storici». E l’altro 50%? Sono i vincitori di concorso, dunque i 'giovani' voluti da Profumo.
Abbiamo virgolettato la parola 'giovani' perché, in realtà, molti di quelli che hanno partecipato al concorso di Profumo sono gli stessi «precari storici» o comunque laureati di parecchi anni fa, visto che il bando di partecipazione poneva pesanti restrizioni per i ragazzi delle ultime leve (e infatti per tale motivo a suo tempo lo criticammo su queste stesse colonne). Tuttavia, quanto al canale del concorso ordinario, il problema più grave non è quello dell’età dei vincitori, bensì un altro, di tipo burocratico, che ora rischia di bloccare le assunzioni.
Infatti, mentre in alcune regioni le procedure concorsuali sono state regolarmente portate a termine e le graduatorie dei vincitori sono pronte, in altre le commissioni hanno operato con minore sollecitudine oppure sono sorti problemi imprevisti, giacché – a quanto pare – siamo ancora lontani dal termine dei lavori. Così in queste regioni (tra loro ci sono il Lazio e la Toscana) si potrà procedere ad assumere dalle graduatorie permanenti, ma non da quelle del nuovo concorso.
Che si farà dunque? Visto che, in base alla legge, bisogna assumere dalle graduatorie dell’ultimo concorso espletato, si tratterebbe di chiamare dalle graduatorie dell’ultimo concorso che si è concluso, cioè quello del 2000. In 13 anni, però, le cose possono cambiare. E sarebbe paradossale ricevere un telegramma di convocazione 13 anni dopo aver superato scritti e orali. Se poi nelle regioni in cui il concorso nuovo non si è concluso si decidesse di assumere in base al vecchio, coloro che vi hanno partecipato si sentirebbero discriminati rispetto ai candidati di altre regioni dove è tutto a posto. E, presumibilmente, farebbero il loro bravo ricorso. Ma di tutto la scuola ha bisogno, tranne che dell’ennesima valanga di ricorsi. Che, ancora una volta, bloccherebbe tutto. Anche qui – come per le assunzioni (che in quel caso peraltro non avverrebbero) – a tempo indeterminato.
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