venerdì 6 settembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
La voce vibrante e rotta di Papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa ha lasciato un’eco profonda in tutti gli uomini di buona volontà. In quanti credono nella potenza della preghiera e del digiuno e piegano le ginocchia affidando le sorti del popolo di Siria e del mondo intero alle mani di Maria più che a quelle fiacche della diplomazia umana e a quelle dure dei signori della guerra. Ma anche in Siria c’è qualcun altro che ha abbandonato la via delle armi e della violenza per affidare il suo grido di pace alla bellezza. Tra loro alcuni artisti costretti, non di rado, a vivere all’estero per poter esprimere liberamente dissenso e protesta per ciò che si consuma nel loro Paese, tormentato da ideologie di diverso genere e colore, le quali ottengono l’unico risultato di schiacciare un popolo intero, la sua cultura e le sue tradizioni gentili e antiche. E la civiltà cristiana è una delle più ricche, salde e fiorenti tradizioni di Sira. È una storia viva seppure tragicamente ferita dai colpi di persecuzioni che, nel gran tormento presente, sono tornate a farsi mortalmente sistematiche. C’è un artista, il druso Wassim al-Jaziri, nato a Damasco nel 1990 e trasferitosi da diversi anni a Dubai, nella penisola araba, che continua a sostenere il suo Paese, non con la forza delle armi, ma con il grido della bellezza. La sua è un’arte digitale, che si concentra su opere di grandi artisti europei e le rilegge alla luce degli eventi drammatici che accadono nel suo Paese, quasi rivolgendo a noi - europei e occidentali, appunto - un appello urgente: che ne sarà di questa bellezza? Perché una tale forza persuasiva non sembra potere nulla dentro le pieghe di questo tempo, nelle vicende politiche del mio popolo. Un’opera in particolare mi affascina, un dipinto dove Wassim al-Jaziri riprende Il sonno di Salvador Dalí. L’artista spagnolo s’interrogava spesso sulla dimensione mistica e insieme inquietante del sonno, accostandola a quegli stadi umani in cui siamo presenti e assenti a un tempo, come negli stadi di premorte. Sotto il faccione inerte di Dalì, Wassim colloca la sua Siria, grigia, desertificata, martoriata. Davanti a noi, che guardiamo lo strano connubio, si aprono due vie. Una – a sinistra – si dirige dentro le macerie di una città devastata e spopolata da ogni sorta di armi, l’altra – a destra – si volge verso un percorso dove l’erba è ancora verde e, sotto un orizzonte di nubi venate di minaccia e di luce, la vita è ancora possibile.Due vie, con la loro domanda rivolta a noi, che l’artista assimila al faccione mostruoso e assonnato immaginato di Dalì, un po’ narcotizzato, forse, di fronte alle notizie di morte ricorrenti e quasi – ahimè – scontate. Di fronte a questo dipinto, dunque, è inevitabile sentir sorgere nel cuore interrogativi e risposte insieme: dove dirigiamo il nostro sguardo? Dove vogliamo andare? Il grido della preghiera e quello della bellezza possono cambiare le sorti dei popoli e far ritrovare un sentiero dove la vita è ancora possibile. Cerchiamolo!
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: