Ancora sul valore del gran lavoro di chi fa scuola: va riconosciuto
giovedì 5 dicembre 2019

Caro direttore,
sul tema dell’istruzione, come su altri temi, ho l’impressione che in Italia si usino sempre linguaggi tanto giusti quanto astratti che, come diceva una vecchia canzone, servono solo «a lastricate i musei delle buone intenzioni». Come si può pensare che lo Stato in Italia possa innalzare lo stipendio ad 1.100.000 persone tante quanti sono i dipendenti del Ministero dell’Istruzione? Che spazio di competizione esiste oggi in questo immenso, secolare monopolio? Che controllo c’è tra chi è banalmente assente o davvero presente? Che verifiche ci sono su chi è bravo e chi non lo è? Il criterio dominante – che ha ucciso la scuola e che ha ridotto la nostra docenza a un’attività da impiegati della peggiore burocrazia statale – è il rispetto ossessivo (quanto fine a se stesso) di norme e circolari anche deliranti nella pretesa di comprendere tutto e tutti. Parlare di libertà di educazione, di autonomia scolastica, di regionalizzazione delle competenze sottraendole allo Stato, che sole potrebbero rompere questo Moloch perverso, è ancora un tabù per sindacati e lobby ministeriali. Va bene a tutti così: la scuola è ammortizzatore sociale per il Sud, è strumento di conciliazione dei tempi della famiglia, è garantito business per le case editrici, terreno per lo smaltimento delle scorte delle aziende tecnologiche, per le più svariate teorie e mode eco-psico- socio-cultural-espressive, ecc. che trovano così l’audience che non troverebbero mai. Perché mai e con che risorse, introdurre una carriera – e quindi pagare di più – gli insegnanti?

Francesco Cacopardi Cinisello Balsamo (Mi)

Vedo che il tema continua ad appassionare e che la soluzione (un po’ visionaria di questi tempi, lo ammetto) che anche io indico non convince. Perché pagare bene gli insegnanti? Perché non è affatto vero che sono tutti burocrati senz’anima come lei sembra credere e finisce per dire, gentile signor Cacopardi. Perché il gran lavoro che grava su di loro – come sottolineano pesantemente anche i risultati dei test Ocse-Invalsi che abbiamo illustrato e commentato proprio ieri – è essenziale per l’esercizio stesso dei diritti e doveri di cittadinanza. Perché in un Paese, in una comunità civile, non c’è impresa più preziosa di quella orientata alla formazione delle nuove generazioni e all’affinamento delle capacità di lettura e comprensione di testi e realtà. Potrei allungare la lista dei “perché”, ma mi sembra che questi bastino e avanzino. Il mestiere di chi fa scuola vale moltissimo, e deve essere valorizzato in modo finalmente adeguato anche sul piano retributivo. Altrove lo si fa, perché in Italia no?

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