mercoledì 27 aprile 2016
La politica alla prova delle comunali a Milano: amministrare è valorizzare le energie cittadine
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,  trattare gli appuntamenti elettorali come referendum ideologici – tutto bianco o tutto nero, anzi, prevalentemente tutto nero – non dimostra grande rispetto per i cittadini. Si può aggiungere che anche per le prossime amministrative c’è una visione manichea e superficiale di cui bisogna essere consapevoli. Don Luigi Giussani, invitato a un’assemblea della Democrazia Cristiana lombarda nel 1987, ebbe a dire: «La politica deve decidere se favorire la società esclusivamente come strumento, manipolazione del suo potere, oppure favorire uno Stato che sia veramente laico, cioè al servizio della vita sociale secondo il concetto tomistico di bene comune… è un cammino niente affatto facile ma duro come del resto il cammino di ogni verità nella vita».  Occorre fare la fatica di entrare nel merito e tradurre questo «bene comune» nella realtà specifica della città in cui viviamo. La situazione di Milano è da questo punto di vista paradigmatica. La sua storia di città laica e popolare l’ha portata in quasi tutte le epoche a rifuggire la violenza e l’estremismo come modo di risolvere i problemi. Evitando di “buttare via il bambino con l’acqua sporca” ha permesso a tutte le spinte ideali che emergevano di continuare a rinascere, dal basso. Non si può non tenerne conto in presenza di chi vuole combattere la corruzione con una politica da “caccia alle streghe”.  La giustizia deve limitarsi a perseguire i colpevoli, non può cercare di sostituirsi al gioco democratico di guida della città. Lo stesso massimalismo e la stessa diffidenza verso la possibilità che dal tessuto sociale continui a nascere un bene, non solo privato ma anche collettivo, lo si trova nel campo dei servizi come quelli del welfare, quelli educativi, e della gestione del territorio. Tradendo di fatto le risorse presenti in questa città, ma soprattutto i bisogni di una società contemporanea, molti pensano che l’amministrazione pubblica, da sola, debba gestire direttamente ogni servizio di cui ha responsabilità, perché un intervento privato o espressione di realtà sociali sarebbe fonte di dispersione di fondi pubblici e contro l’interesse delle persone, soprattutto quelle più bisognose. Sta di fatto che il regime statalista vigente nel nostro Paese da decenni ha prodotto deficit di bilancio, inefficienze, scarsa qualità dei servizi e insopportabili sacche di rendita. A questo riguardo la sinistra deve decidere se rimanere ancorata a schemi ideologici o se riconoscere la capacità di rispondere ai bisogni che è presente nella società. Sul fronte opposto, quello del centrodestra, sembra che ci sia più interesse a ridurre la politica a comitato di affari o, più “nobilmente”, a osservare passivamente le mere dinamiche di mercato come strumento capace di rispondere ai bisogni dei cittadini. Dimenticando che certi beni sociali non possono essere amministrati massimizzando un utile d’impresa da dividere fra gli azionisti: così non si fa l’interesse del cittadino e si ignora che la grande tradizione di welfare pubblico-privato di questa città costituisce già il migliore modello di riferimento per efficacia ed efficienza. Nella stessa area politica c’è poi chi propaganda razzismo e xenofobia a buon mercato, facendo finta che a Milano non sia successo qualcosa di fondamentale: da sempre chi è venuto a lavorare si è integrato. Cosa deve accadere perché i due schieramenti in crisi di ideali o bloccati dall’ideologia possano davvero essere utili alla città? Una educazione – a partire dalla famiglia e dalla scuola – a vivere per ideali che spalanchino tutto il desiderio di bene del cuore umano. A tutti i livelli occorre avere la pazienza e l’umiltà di guardare, ascoltare e conoscere ciò che bolle di buono nella “pancia” della città e così attuare una rivoluzione liberal-popolare nella gestione della cosa pubblica in cui il Comune governi, e non gestisca necessariamente in prima persona i servizi, e dove i cittadini possano scegliere anche grazie a strumenti quali voucher e doti. Sarà buona amministrazione quella che saprà vedere e valorizzare le iniziative operose di bene comune secondo un approccio di sussidiarietà solidale.  * Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: