martedì 27 agosto 2019
Il cambiamento che i cittadini potrebbero apprezzare
Altra fase per l’Italia oggi troppo divisa
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Caro direttore,
siamo un Paese troppo diviso. E non più purtroppo alla maniera 'sportiva', divisa e insieme unita, di Coppi e Bartali, dove chi teneva per l’uno si toglieva il cappello davanti alla forza, al valore dell’altro, nella consapevolezza che era proprio la sua presenza in corsa a dare senso e lustro alla vittoria del proprio 'campione', a costruirne il mito. Siamo un paese diviso e basta, senza un mito comune, o forse meglio con troppi che da anni lavorano a disgregare, se non a distruggere, quel che si è costruito prima con l’unità d’Italia e poi con la Repubblica democratica.

Rischiando di riportare indietro le lancette della storia, in una depressione politica e istituzionale, dove gli italiani non troveranno più sovranità, ma solo più debolezza, più solitudine, e – per i più malmessi tra loro – più povertà, in drammatica (e fittizia) competizione con la povertà e la disperazione degli 'altri' che bussano alla loro porta. Per venirne fuori, non abbiamo bisogno di altre divisioni, di un’ennesima campagna elettorale senza progetti meditati, senza chiarezza su cosa fare davvero per l’Italia di domani, ma solo all’insegna di 'noi' o 'loro', e poi 'vi facciamo vedere noi'.

Abbiamo bisogno di 'più' Italia, una libera eguale. Questo sì, dopo anni, troppi, sarebbe un cambiamento. Alla fine dei conti, il voto degli italiani che ha insediato questa legislatura, questo chiedeva. Un cambiamento. Che non è fatto di colori – gialloverdi o giallorossi, gli elettori votano le magliette che trovano – ma di cose da fare, per il 'bene comune'; concetto purtroppo altamente astratto per troppo ceto politico, ma assolutamente concreto per la gente comune, alla fine del mese, come si dice, o quando entri in un ospedale o esci da una fabbrica e domani non ci torni.

Ora questo bisogno di cambiamento gli elettori possono certo segnalarlo e risegnalarlo, se obbligati, nelle urne – fin quando ci crederanno, e già abbondanti segnali che non ci credono li hanno dati nel non-voto –, ma non è il 'lavacro' del voto a produrlo. Una società può desiderare il cambiamento, ma il cambiamento all’Italia possono darlo solo istituzioni che funzionano, e che non vengano cambiate ogni anno perché non funzionano.

A cominciare dalle Camere. E l’attuale Parlamento, fallito l’esperimento gialloverde, ha la possibilità, se prevalgono – come si auspicato su queste colonne – responsabilità e generosità, di poterci provare a cambiare registro, accantonando calcoli personali e di partito, e provando a dare il senso sperato dagli italiani a questa legislatura quando l’hanno votata. Senza un’inutile, allo stato, fuga nelle urne. Non chiamiamo, quello che viene, un tempo giallorosso, chiamiamolo italiano, e basta. Nelle partite che veramente contano, il Paese deve tornare a fare 'spogliatoio' insieme.

Filosofo, Università Federico II Napoli già parlamentare della Repubblica

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