mercoledì 26 febbraio 2014
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Il nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel suo "discorso della fiducia" davanti al Parlamento, ha indicato come priorità la scuola e ha parlato dell’educazione come motore dello sviluppo. Ha detto che la cosa più urgente è cambiare forma mentis, ridando il giusto rispetto «a chi quotidianamente va nelle nostre classi e assume su di sé il compito struggente e devastante di essere collaboratore della creazione di una libertà, della famiglia e delle agenzie educative». Sono parole importanti e vere, che interrogano tutti: genitori, studenti, docenti, presidi e, soprattutto, chi può e deve prendere decisioni.È vero, il cuore della scuola è l’educazione, il rapporto che si può stabilire ogni giorno tra insegnanti e studenti. È da qui che occorre partire. Ma in che modo farlo senza usare gli stessi strumenti che ci hanno portato a una situazione in cui i docenti sono selezionati e trattati come semplici funzionari in una scuola soffocata da mille vincoli burocratici e sindacali? Una scuola che butta fuori senza un diploma o un titolo di qualifica professionale il 18,8 % dei suoi studenti? Una scuola in cui esiste un divario enorme nei livelli di apprendimento tra Nord e Sud e fra istituti che si trovano anche nello stesso territorio? Una scuola in cui la maggioranza dei figli di chi non ha un titolo di studio continua a non conseguirlo? Una scuola lontana da un mondo del lavoro che cambia continuamente e non ha più bisogno del "pezzo di carta"? Una scuola che non valorizza la formazione professionale che, invece, potrebbe costituire una risorsa fondamentale per dare un futuro a tanti nostri ragazzi? Una scuola in cui un milione di famiglie sono costrette a pagare una retta facendo enormi sacrifici per esercitare il proprio diritto di iscrivere i figli in scuole paritarie?La metafora di Renzo Piano citata da Renzi è bella: occorre «rammendare» le nostre scuole. Ed è così: i nostri figli impareranno a cercare la bellezza se vivranno nella bellezza. Ma non basta un piano per l’edilizia scolastica. La questione educativa è molto più ampia. Occorre avere il coraggio di chiedersi che cosa può aiutare a trasformare le mille ore che i nostri figli vivono a scuola in un tempo in cui scoprire il vero, il buono e il bello che c’è nella realtà. È urgente chiedersi cosa può sostenere le famiglie e gli insegnanti nel loro compito educativo e cosa può favorire quel "passaggio di consegne" tra generazioni sul lavoro, per valorizzare i talenti, la capacità di innovazione e la creatività dei nostri giovani.Per rispondere a queste domande è necessario, ma non è sufficiente, un ministro dell’ Istruzione. Neanche il più competente e appassionato. Basta pensare che la scuola statale è il più grande comparto della pubblica amministrazione con 1 milione e duecentomila dipendenti e che le famiglie italiane possono dedurre dalle tasse le spese per il veterinario, ma non quelle per l’educazione dei figli, per capire l’ampiezza e la concretezza dei problemi. Basta vedere il ruolo assolutamente residuale lasciato alla scuola nel "Piano di garanzia per i giovani " e il modo con cui sono stati usati nel Sud i fondi europei per l’ edilizia scolastica, per capire che è necessario  cambiare passo.Occorre una nuova alleanza tra generazioni e un governo che in tutte le sue politiche – economiche, fiscali, occupazionali, di internazionalizzazione, di innovazione e di welfare – abbia sempre negli occhi il potenziale presente in quegli otto milioni e mezzo di studenti che frequentano la scuola italiana.
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