sabato 4 giugno 2016
Tredici milioni di italiani alle urne per eleggere 1.300 sindaci. Per decidere il futuro di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino, Trieste, Cagliari.
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Tredici milioni di italiani alle urne per eleggere 1.300 sindaci. Per decidere il futuro di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino, Trieste, Cagliari. Per cambiare il volto a grandi città. Italiani esigenti. Capaci di distinguere. Di valutare. Candidato da candidato. Programma da programma. Situazione da situazione. Alleanza da alleanza. E il risultato di questa miscela sarà un voto difficile da leggere politicamente. Domani, infatti, molti voteranno per un sindaco, pochi pro o contro il governo Renzi. Al Pd renziano è successo già nel 2014: nello stesso giorno alle europee sfondava il tetto del 40% e perdeva Comuni tradizionalmente di centrosinistra come Perugia e Livorno… Un voto dalle molte letture annunciate: ecco le prove. Il Movimento 5 Stelle è forte solo a Roma e a Torino dove però Fassino pare a un solo passo dalla riconferma. De Magistris vorrebbe un ruolo nazionale, ma per ora la sua partita è solo Napoli. Il centrodestra gioca con schemi diversi: a Milano è riuscito a scommettere unito su Stefano Parisi, a Roma (e altrove) va in scena un astioso scontro tra Meloni e Marchini. E anche i rapporti tra Pd e sinistra cambiano da città a città: a Cagliari c’è un patto forte su Massimo Zedda, a Roma Fassina ha escluso un appoggio a Giachetti persino in un eventuale ballottaggio. Dicevamo, italiani esigenti. Ma anche stanchi. Di promesse non mantenute. Di campagne elettorali dove è mancata (e manca) una visione delle città. Il Pd ha trovato una leadership nazionale forte, ma sul territorio fa fatica. Anche i Cinque Stelle possono contare su un forte voto d’opinione, ma quando si tratta di mettere in campo uomini e squadre capaci di amministrare città spesso girano a vuoto. Limiti veri che hanno condizionato anche quest’ultima campagna amministrativa. Si è detto tanto sui risvolti politici (referendum di ottobre e nuovi equilibri nelle coalizioni) ed è mancato un vero confronto sulle grandi questioni a cui anche i sindaci sono chiamati a dare risposte: ricette per la famiglia, politiche d’accoglienza, sicurezza e legalità, occupazione, ambiente. Inevitabilmente il livello locale si sovrappone a quello nazionale. Il voto di domenica pare destinato a dare una risposta almeno a tre interrogativi tutti politici. Uno: il M5S vincerà Roma e si accrediterà come forza di governo o perderà la chance Capitale condannandosi a un futuro di graduale declino? Due: nel centrodestra prevarrà l’anima moderata di Parisi e di Marchini o quella populista di Meloni e Salvini? Tre: a sinistra del Pd ci sarà davvero una spazio per le idee e le ricette (anche politicamente scorrette) di Stefano Fassina? Infine, s’impone una riflessione sul premier. Renzi ha dato l’impressione di voler esorcizzare questo voto amministrativo. Gli ha sempre dato un valore solo locale.  Ed è arrivato a dire che tra venti giorni nessuno ne parlerà più. Ma in realtà lo teme, tant’è che si è fortemente impegnato nella campagna elettorale mettendoci, come sempre, la faccia. Consapevole che un doppio ko, a Roma e a Milano, sarebbe un colpo duro. In vista del referendum di ottobre e di un voto politico che potrebbe arrivare anche prima della fine della legislatura del 2018. Questioni vere, interrogativi forti, resi amari dall’impressione che la politica abbia rinunciato a un vero progetto per le città, abbia preferito le formule alle misure. E il risultato potrebbe essere un astensionismo ancora più massiccio e antagonista. Sarebbe un gran brutto segnale.
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