Se l'Europa torna teatro
giovedì 30 giugno 2022

L’invasione russa dell’Ucraina sta provocando un riassetto globale anche delle finalità dell’Alleanza Atlantica, con il duplice effetto, da un lato, di riportarla a un passato che si credeva lasciato per sempre alle spalle e, dall’altro, proiettandola in un futuro denso di incertezze che assume una caratura non più solo regionale ma mondiale.

L’accordo raggiunto due giorni fa con la Turchia che consentirà – a prezzo di dolorose forzature, soprattutto sul piano del diritto umanitario, a vantaggio del leader turco Erdogan – l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, ridisegna al suo interno i confini dell’Europa e al tempo stesso ripristina, di fatto, la profonda divisione che esisteva all’epoca della 'cortina di ferro' fra le democrazie liberali e il blocco sovietico. È una conseguenza dell’azzardo di Vladimir Putin, che verosimilmente contava d’imporre un vicino neutrale se non proprio filo-Mosca, e ora si ritrova con una guerra aperta e due nuove importanti nazioni europee a guardia di un Mar Baltico sul quale sventola la bandiera della Nato.

Tutto questo induce l’Alleanza occidentale a una fuga in avanti sul piano militare: l’ipotesi è di aumentare da 40 a 300 mila effettivi le forze di intervento rapido in Europa e di confermare e – in qualche caso imporre – la destinazione del 2% del Pil di ogni Paese membro a spese con le stellette. Ma forse più che una fuga in avanti, questa è una fotocopia di quel lontano passato in cui Washington e Mosca consideravano l’Europa – non senza un quid di macabro umorismo – niente più che 'il Teatro': perché era su quel palcoscenico che in caso di conflitto fra Nato e Patto di Varsavia si sarebbe giocata la devastante partita nucleare. E 'missili di teatro' si chiamarono i Pershing e Cruise occidentali e gli SS20 sovietici.

Oggi siamo tornati lì, al punto di partenza, a quell’«equilibrio del terrore» garantito dalla parità nucleare e dalla reciproca deterrenza. Soltanto i nomi dei vettori, sono cambiati. Solo che all’epoca non c’era nessun Lavrov e nessun Medvedev a minacciare come accade oggi a giorni alterni l’olocausto atomico, bensì un ferrigno (ma responsabile) Andrej Gromyko, una sfinge sovietica che era la miglior garanzia dell’immobilismo brezneviano. A questo serviva la Nato, era parte della rispettiva garanzia delle superpotenze sulle proprie aree di influenza.

Oggi le sue finalità sono cambiate. L’invasione dell’Ucraina, le mai troppo velate minacce all’integrità territoriale ai Paesi dell’Alleanza un tempo satelliti dell’Urss si sono arricchite di nuove frontiere e nuovi orizzonti che ne hanno modificato radicalmente la dottrina strategica, allargandola a 360 gradi su scala mondiale: oggi la Nato deve far fronte all’infiltrazione russa in Siria, Libia e Sahel e al tempo stesso far da guardia all’espansionismo indo-pacifico della Cina. Tutto ciò è parte del mosaico di un nuovo ordine mondiale che tessera dopo tessera si va agglomerando.

Un quadro d’insieme ancora incompleto che reclama maggior chiarezza da parte di Pechino – la cui opacità in materia economica e militare e l’ambigua sottigliezza diplomatica sono proverbiali – e altrettanta consapevolezza della fragilità degli equilibri mondiali da parte delle nazioni che parteciperanno al prossimo G20 in Indonesia. Un quadro che tuttavia sprona a rivolgersi la più urgente delle domande: quale mondo stiamo preparando e consegnando ai nostri figli? L’Europa, già: da un lato una fortezza che si va riarmando oltre misura sotto l’ombrello Nato nonostante non tutti i Paesi membri ne facciano parte; dall’altro un sogno identitario e pacificatore, coltivato a partire dal coraggio ideale dei padri fondatori, che sembra quotidianamente indietreggiare di fronte a quel nuovo whatever it takes (tutto ciò che serve) che detta una corsa senza freni verso il riarmo.

L’unico modo – si usa dire – per costringere Putin a sedersi al tavolo del negoziato, in ossequio a uno Strategic Concept essenzialmente americano e britannico. Perché non tutta l’Europa è d’accordo sulle sanzioni a Mosca e non tutta l’Europa è convinta di dover armare a oltranza l’Ucraina. Esattamente come non siamo per nulla convinti che il prezzo del braccio di ferro fra l’Occidente e Putin lo debba pagare anche quel miliardo di persone nel mondo colpite dalla crisi alimentare che la guerra sta provocando.

«La Russia è stata parte della storia europea per cinquecento anni, è stata coinvolta in tutte le grandi crisi e in alcuni dei grandi trionfi della storia europea e pertanto dovrebbe essere la missione della diplomazia occidentale e di quella russa di tornare al corso storico per cui la Russia è parte del sistema europeo ». Sono parole di qualche giorno fa del novantanovenne Henry Kissinger. Parole sulle quali riflettere. Certo sorprendentemente disarmate e, magari, disarmanti.

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