E il cuore diventò radice
sabato 30 ottobre 2021

La punta delle radici, avendo il potere di dirigere i movimenti delle parti adiacenti, agisce come il cervello di un animale.
Charles Darwin, Il potere di movimento delle piante

In questa epoca di urgente cambiamento ecologico ed economico, qualcuno comincia a guardare alle piante in cerca di nuove ispirazioni, per salvare noi dal pianeta e il pianeta da noi. Perché finché si pensa alla sostenibilità restando all’interno dello stesso paradigma, si ragiona come se fosse possibile risolvere i problemi con la stessa macchina che li ha prodotti. In particolare, il sistema economico capitalistico è cresciuto secondo un modello animale. L’animale homo sapiens quando ha dovuto immaginare l’economia, la fabbrica e l’azienda, le ha disegnate a sua immagine.
Abbiamo così costruito aziende e istituzioni "animali", cioè con una forte divisione e specializzazione delle funzioni, con un "cervello" e un "cuore" da cui dipendono tutti gli altri organi. Queste istituzioni-animali hanno imparato a correre molto velocemente, sono diventate sempre più efficienti, depredando e divorando risorse. E così l’economia e il Pil sono cresciuti grazie alle folli corse di imprese e consumi, producendo risultati eccelsi; un giorno però hanno superato la soglia della cosiddetta "tragedia dei beni comuni", che stiamo osservando tutti, spettatori e vittime insieme.

L’economia non ha imitato le piante – come abbiamo scritto su queste pagine: "Nel tempo della ragnatela" (5 marzo 2016). Le piante, diversamente dagli animali, sono ancorate al suolo, e per rispondere all’estrema vulnerabilità dovuta al loro star ferme, non hanno sviluppato organi specializzati come gli animali (se non puoi scappare e hai cuore e fegato, se un animale ti mangia un organo vitale ti uccide). Hanno imparato a respirare, vedere, sentire con tutto il loro corpo. Da qui la loro grande resilienza: un animale lo uccidi colpendolo al cuore, la pianta invece può sopravvivere anche se perde l’80-90% del corpo, e un tronco mozzato può conoscere un nuovo virgulto. Nella Bibbia troviamo molte volte l’immagine dell’albero, della vigna, del seme per indicare il Popolo, la Chiesa, il Regno dei Cieli.

La vita delle piante ha molto da dire anche alle comunità carismatiche. Queste nascono da uno o più fondatori/fondatrici, che danno alla comunità carismatica una forma simile all’animale. Il fondatore è necessariamente il centro (cuore), e i singoli organi e funzioni dipendono dal centro. Questa configurazione viene poi replicata in tutte le funzioni e nelle varie comunità locali, che riproducono tutte lo stesso modello centrale. Nelle comunità carismatiche, diversamente dalle organizzazioni burocratiche (cioè "governate razionalmente dagli uffici" e non dai carismi delle persone), le responsabilità e i ruoli dipendono direttamente dal fondatore. Si creano sulla base di un rapporto totalmente fiduciario, da un patto implicito di mutuo riconoscimento. Ciò consente alla comunità di correre molto velocemente nella prima fase del suo sviluppo, di volare alto come aquila.

Ma come ci ha insegnato Max Weber, l’autorità di tipo carismatico termina con la scomparsa del leader carismatico, quando iniziano la routinizzazione del carisma e l’organizzazione burocratica. Nei secoli passati, la fase carismatica dei movimenti durava in genere poco tempo, e quindi era più semplice osservare con chiarezza le differenze tra la governance della fase carismatica e quella successiva. Nel nostro tempo, invece, i fondatori restano nelle loro organizzazioni per molto tempo. Accade così che una certa burocrazia si sviluppi mentre il fondatore è ancora alla guida della sua comunità, allo scopo di rendere ordinata e razionale quella vita comunitaria. Inizia una certa burocrazia carismatica. Ed è in questa fase di proto-istituzionalizzazione del carisma dove si addensano sfide decisive per il futuro. Perché?
Finché il fondatore è in vita, l’organizzazione che nasce è inevitabilmente pensata attorno al ruolo centrale e unico del fondatore. Non potrebbe svilupparsi diversamente. I problemi però nascono perché queste prime forme organizzative ibride carisma-istituzione passano alla generazione post-fondatore come parte essenziale dell’eredità immodificabile del carisma. I primi otri e il vino diventano quasi la stessa cosa. E così quando il fondatore esce di scena, chi lo sostituisce si ritrova dentro una organizzazione pensata "da e per" il fondatore. Deve interpretare un ruolo per il quale non ha le risorse, perché semplicemente quel ruolo pensato dal fondatore è possibile soltanto per il fondatore.

Il successore si ritrova al centro di tutte le connessioni e le circolazioni della comunità, senza poter essere nelle condizioni per poterle gestire. Il fondatore aveva doti e caratteristiche spirituali e umane che erano uniche in quanto fondatore. Il suo successore, invece, non può e soprattutto non deve svolgere la stessa funzione di cuore della sua comunità – e se lo fa crea una nuova comunità. Ma se si ritrova dentro la stessa governance del fondatore, inevitabilmente iniziano i problemi. Si verificano ritardi decisionali e ingorghi gestionali vari nello svolgimento del lavoro ordinario. E la quasi totalità delle risorse viene impiegata per la gestione delle dinamiche interne e così non restano energie libere per pensare strategicamente al futuro: un oggi ingestibile si mangia il domani.
Ciò si verifica perché quando il fondatore inizia a scrivere la regola e quindi il ruolo del presidente e del governo della sua comunità, ha in mente sé stesso e il suo governo, e prende la sua esperienza di fondatore-presidente per disegnare la figura dei futuri presidenti e il futuro governo. Gli esperti gli ricordano che il futuro presidente non potrà svolgere le stesse funzioni del fondatore, e spesso è lo stesso fondatore ad averne coscienza; ma la comunità e il fondatore non hanno altro materiale che il passato e il presente. Così la regola comunitaria finisce inevitabilmente per essere una foto della realtà che la scrive.

Questa è una delle ragioni della fatica che fanno oggi movimenti e comunità a gestire la fase post-fondazione, per non riuscire a "suonare" lo spartito lasciato loro in eredità. Che fare dunque? Se vogliamo essere onesti fino in fondo, dobbiamo dire che l’organizzazione generata e voluta dal fondatore in un certo senso muore il giorno dell’uscita di scena del fondatore, muore con la morte del suo cuore. È questa la prima, decisiva e inevitabile vulnerabilità dell’organizzazione-animale generata dalla prima fase. Non muore il carisma, muore solo la prima organizzazione che quel carisma aveva generato. Ma – e questo è il punto – se non muore la prima organizzazione può succedere che al suo posto muoia il carisma.

Per evitare equivoci occorre tenere ben presente che nella tradizione e spesso anche nella regola che scrive un fondatore, c’è una parte che riguarda la forma di vita della nuova personalità spirituale (individuale e collettiva) che il carisma porta sulla terra, che può cambiare nel tempo solo in aspetti molto marginali. Ma nelle tradizioni scritte e orali delle comunità spirituali (soprattutto di quelle moderne) c’è quasi sempre anche la descrizione delle regole di governance e dell’organizzazione pratica della comunità. In questa seconda parte ci sono pure dimensioni carismatiche fondative e originali che non vanno perse (una comunità carismatica ha un bisogno essenziale di una governance coerente con il carisma che l’ha generata); ma ci sono anche prassi e regole che sono state pensate sulla misura del fondatore e della sua "organizzazione-animale", e se non cambiano finiscono presto per bloccare lo sviluppo della comunità. Operazione (forse) facile a dirsi ma difficilissima a farsi, perché i discepoli del fondatore tendono per istinto a considerare intoccabile e "sacra" l’intera regola e tradizione, soprattutto se a pensarle è stato lo stesso fondatore.

Da qui la proposta. Tornando alla nostra analogia, nella fase di passaggio dal fondatore ai suoi successori, l’organizzazione carismatica dovrebbe trasformarsi da organizzazione-animale a organizzazione-pianta. Dopo il fondatore, la comunità può sostituirlo con un presidente, cambia cuore e lascia la governance di prima: questa soluzione non funziona perché non può funzionare. Ma può anche decidere di cambiare molto per salvare l’essenziale. E quindi mette mano alla parte "pratica" della regola, e crea una governance vegetale. Distribuisce le funzioni, prima addensate nel centro, in tutto il corpo, e crea una vera governance sussidiaria. Come quella delle piante, dove un attacco di un parassita su una foglia viene risolto prima dalla singola foglia, se questa non riesce subentrano le foglie vicine, poi l’intero ramo, e solo infine i rami più lontani e qualche volta gli alberi vicini. Impara a respirare, pensare, sentire con tutto il corpo. Detto per inciso, le comunità monastiche nascono simili alle piante: il loro centro non è il fondatore né, tantomeno, l’abate. La loro radice è la regola, e così molti monasteri hanno vissuto e vivono per secoli, come i grandi alberi.

Come si fa ad assicurare l’unità di una organizzazione-pianta? Anche le piante hanno un loro governo non meno efficiente di quello degli animali, ed è concentrato soprattutto nel loro codice genetico e, per certe funzioni, nelle radici. Nelle generazioni successive al fondatore, l’unità della comunità e il governo delle decisioni più importanti sono affidate al Dna e alle radici del carisma. Le comunità carismatiche possono farlo, perché diversamente dalle imprese, loro non hanno dipendenti: hanno persone con vocazioni, quindi con lo stesso Dna spirituale del fondatore (un francescano ha lo stesso "codice genetico" di Francesco, non lo impara ma lo scopre, perché era già nell’anima). Sono allora le sue persone la prima garanzia che la comunità avrà futuro - qui la loro forza, qui la loro vulnerabilità. Molto di ciò che prima faceva il cuore, ora lo potrà fare tutto il corpo se il carisma diventa radice. Sottoterra, invisibili, le radici sostengono e alimentano tutto l’albero, sentono e, come un cervello diverso, inviano messaggi a tutta la pianta, in dialogo con la terra. Non commettiamo l’errore di pensare che le radici siano il passato, magari immutabili e statiche; nelle piante le radici sono anche il passato, ma soprattutto sono il presente e il futuro. Se un carisma riesce a diventare pianta è resiliente alle crisi, diventa molto difficile farlo morire. Deve però rallentare, sviluppare nuovi sensi, crescere in profondità, conoscere tutto il bosco e imparare nuovi linguaggi per cooperare con alberi diversi.

Le piante hanno sviluppato la loro resilienza per rispondere alle sfide dell’ambiente: una grande vulnerabilità dovuta al loro ancoraggio al suolo le ha costrette a darsi organizzazioni molto diverse da quelle del regno animale, per poter vivere. Quella vulnerabilità che nasceva dal non potersi muovere è diventato il loro vantaggio evolutivo. Quando i fondatori scompaiono, l’ambiente cambia profondamente, e si sperimenta una nuova e diversa vulnerabilità. La saggezza delle piante può suggerirci come trasformare la debolezza in fortezza, e continuare la vita: «È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo» (Salmo 1,3).

l.bruni@lumsa.it

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