Le direzioni dell’America di Trump e che cosa vuol dire «essere per la vita»
domenica 5 febbraio 2017

Gentile direttore
vorremmo ringraziarla per la sua presa di posizione nei confronti di alcune dichiarazioni del presidente Trump e delle recenti iniziative che a quelle parole hanno dato seguito. In un momento di confusione come questo crediamo, come genitori che vivono a contatto con il mondo dei giovani, che il fare chiarezza senza pregiudizi, ma con fermezza sia prezioso e importante, anche se non sempre gratificante. Viviamo un nostro impegno come famiglia numerosa, a vario titolo ci siamo trovati a lottare contro l’aborto e anche contro la teoria "gender". Ci provoca quindi grande dolore e anche un certo disgusto il fatto che questi valori nei quali crediamo possano essere utilizzati per giustificare forme più o meno velate di razzismo, xenofobia, nonché incitamento all’odio per l’"altro" ritenuto colpevole di tutti i mali che possano esistere. E come cristiani crediamo che tutto debba essere fatto perché la nostra Fede non possa mai essere "utilizzata" da nessuno e per nessuno scopo. Mai. La ringraziamo di tutto

Andreina e Pier Luigi Aragosti


Gentile direttore,


alcune lettere che ha pubblicato il 31 gennaio riguardo le iniziative del presidente Trump hanno certamente un piglio e l’uso di parole discutibili, ma riflettono il disagio di molti per una costante e martellante campagna della stampa italiana contro il presidente eletto dal popolo americano. La rassegna stampa di Rai3, dove una volta all’anno ascolto con piacere per la pacatezza dei toni anche lei, e le successive telefonate riflettono un’attenzione ipertrofica per il mondo americano, mettendo in ombra, di fatto, i problemi di casa nostra. L’effetto di questa campagna mediatica è simile a quel che avviene nello studio medico il lunedì mattina quando il 40% dei pazienti lamenta, combinazione, la patologia che è stata trattata nella trasmissione televisiva sulla salute nella settimana precedente. Nel merito delle iniziative del presidente Trump sarei più prudente, a 11 giorni dall’insediamento, per valutare quali saranno gli effetti. Se parliamo di muri, pensiamo subito a quello di Berlino o a quelli con il cemento più fresco in Israele e concordiamo che non siano un bel segno. Sì, meglio costruire ponti, tutti conveniamo. C’è un altro punto, però, che vorrei sottolineare: la differenza tra costruire muri per limitare il flusso di immigrati e uccidere i figli. C’è chi li accosta: non credo possano essere messi sullo stesso piano. Costruire un muro è molto diverso dal togliere la vita alle persone. La costruzione di un muro può causare sofferenze, ingiustizie, si può aggirare, ma è comunque un atto reversibile, togliere la vita è un atto irreversibile. Trump ha appena nominato un giudice supremo favorevole alla vita (<+CORSIVODIR_RISP>pro life<+TONDODIR_RISP>), e questo significa che in Usa ci sarà una svolta perché accogliere i figli nella propria casa rende capaci anche di accogliere chi fugge dalle persecuzioni o più in generale dalle difficoltà. Se poi vogliamo dare credito a santa Madre Teresa di Calcutta, forse si inizierà a estirpare le radici di quella pianta che è responsabile delle guerre nel mondo. Sperando di sentirla presto nella rassegna stampa su Radio3, la saluto cordialmente.


Valter Boero

Gentile direttore,


vorrei tornare sulle lettere che "Avvenire" ha ricevuto a seguito del suo articolo su Trump e la sua risposta. Conterà poco, ma lei e il giornale che lei dirige hanno il mio apprezzamento. Le avevo scritto tempo fa per un’altra cosa, ma quanto avviene in questi giorni è certamente molto più importante. Complimenti anche per la chiarezza con la quale ribadisce i princìpi ai quali "Avvenire" e lei si ispirano. Quanta misericordia il Signore ha con tutti noi… Penso, però, che in passato alcune cose sono state interpretate male e ora non possiamo più farlo. Non si può interpretare il Santo Vangelo a nostro uso e consumo. Come cristiani crediamo che Gesù ha dato la vita per noi, e noi non possiamo approvare, condividere o sostenere quanto lui ha combattuto. Solo lettori frettolosi o saltuari possono attribuire a lei e al giornale che dirige certe colpe e certe "disattenzioni"; per quanto mi riguarda (da tempo sono suo lettore) ha la mia più completa solidarietà. Con stima.


Luigi Magnani

Le tre lettere che precedono queste righe sono in "rappresentanza" di tutti i messaggi che stiamo ricevendo sul tema «i muri di Trump». Tanti di condivisione, alcuni di garbato dissenso, pochi di volgare e anche violenta contestazione (il 31 gennaio 2017 ne ho pubblicato un piccolo saggio, e non dei peggiori, ma non lo rifarò…). Ringrazio comunque tutti, anche se un po’ di più – mi capirete – coloro che esprimono apprezzamento per la nostra informazione e sostegno alle opinioni che i miei colleghi e io stesso abbiamo espresso. Spero che davvero tutti, non solo tra i nostri lettori abituali od occasionali, riescano a trovare lucidità e forza per vedere e riconoscere nelle vicende del mondo il bene e il male. E spero persino di più che questo sguardo limpido riesca a coloro che hanno potere, e Donald J. Trump, presidente del Paese più potente al mondo, di potere ne ha moltissimo. La direzione che prende e che indica un capo politico così, condiziona le scelte degli altri. Proprio per questo mi concentro sull’ultima parte della lettera del professor Boero. Sono d’accordo con lei, gentile e caro amico, «accogliere i figli nella propria casa rende capaci anche di accogliere chi fugge dalle persecuzioni o più in generale dalle difficoltà». E credo da sempre che nelle parole con cui Madre Teresa, oggi santa, ricevette il Premio Nobel per la Pace 1979 – parole che lei evoca – ci sia davvero una profezia: quando avremo imparato a non uccidere più, con l’aborto, un essere umano nel tempo della sua massima debolezza e dipendenza, cioè nel tragitto misterioso, potente e commovente compiuto tra il concepimento e la nascita nel grembo materno, avremo finalmente disimparato la guerra. La guerra che alza muri di sospetto e di odio tra i popoli, ma distrugge le case e non risparmia, lo abbiamo visto in ogni dove, i luoghi sacri a Dio e alla persona umana: chiese, sinagoghe, moschee, templi, ospedali, scuole, monumenti artistici… La guerra che schiera gli esseri umani gli uni contro gli altri e non soccorre la debolezza, ma la cerca, la strumentalizza, la opprime e la distrugge. Certo, è vero, ogni uccisione è irreversibile, mentre ogni muro può essere abbattuto. Ma ogni muro materiale e morale, cioè ogni rifiuto pregiudiziale o interessato dell’altro, è una promessa e spesso, purtroppo, una premessa di morte. Per «scartare», come dice papa Francesco – l’innocenza assoluta di un bimbo nato o non nato, per lasciare fuori della porta chi invoca pane e aiuto, per ignorare la disperazione di chi è perseguitato e fugge dalla guerra bisogna proprio avere – rubo l’espressione a un grande cantautore italiano – «nella testa un maledetto muro» e forse anche una grande paura, di quelle che anestetizzano il cuore e spengono l’anima. Ecco perché preoccupa la direzione indicata dalle prime scelte politiche emblematicamente compiute del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Ma altre scelte, lei sottolinea, sono apparse invece orientate in senso positivo. È vero. Positivo, come abbiamo già annotato, è il taglio dei fondi alle organizzazioni non governative che "esportano" aborto nel mondo (una decisione in linea con quella assunta da tutti gli altri presidenti repubblicani degli ultimi tre decenni). L’aborto non è un’arma di «salute riproduttiva», ma – lo scriviamo e documentiamo da anni e anni – è l’eliminazione di un figlio o, più spesso come gridano gli agghiaccianti dati del secolo che abbiamo alle spalle, di una figlia. E importante è l’indicazione nell’ancor giovane Neil Gorsuch (49 anni) di un nuovo giudice supremo. Gorsuch è noto, oltre che per la profonda e raffinata scienza giuridica, per la sua cultura pro-life e per il costante impegno a favore della libertà religiosa. Spero, dunque, che sappia incidere in decisioni della Corte Suprema federale riguardanti la vita (dall’aborto all’eutanasia all’uso delle armi), la famiglia (diritto dei figli, non diritto ai figli, commercio di grembi di madre e di gameti umani) e la libertà di credere, pensare ed educare e che sia capace di difendere l’ambiente di vita e di lavoro di tutti noi, la «casa comune» che papa Francesco chiama l’umanità a «custodire». Un «uomo per la vita» – politico o giurista che sia – può ben essere uomo delle regole e della chiarezza, ma non può essere «uomo dei muri» e profeta di inconcepibili (per me e non solo per me) benessere e sicurezza «in una sola Nazione». Se lo fosse, i conti non tornerebbero. E la vita non sarebbe davvero difesa, ma discriminata e strumentalizzata.

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