Covid-19, forza e fragilità di due sistemi
sabato 4 luglio 2020

Negli ultimi giorni si sono susseguite numerose ipotesi e analisi sull’evoluzione della pandemia in Italia e nel mondo, spesso contraddittorie tra loro, spesso confondenti l’opinione pubblica perché provenienti da autorevoli professionisti dalla stimabile reputazione nella propria disciplina, ma spesso privi di competenze di sanità pubblica. "Il virus è mutato, ha perso forza, è clinicamente morto, torniamo alla normalità, non facciamo terrorismo psicologico...", sono alcune delle affermazioni più impattanti, il tutto mentre l’Organizzazione mondiale della Sanità e grandissimi scienziati come Peter Piot in Gran Bretagna e Anthony Fauci negli Usa annunciavano che siamo solo all’inizio e che il peggio deve ancora venire.

La verità è che solo seguendo l’evidenza scientifica e rafforzando i sistemi sanitari è possibile controllare la diffusione del Sars-CoV-2 e limitarne i danni sia sanitari si economici e sociali. In questo contesto l’Italia e gli Stati Uniti d’America presentano situazioni diametralmente opposte. Pochi giorni fa un servizio della Cnn citava l’Italia come esempio virtuoso e gli Stati Uniti come caso antitetico di caos decisionale. Il nostro Paese in grado di tentare una riapertura generale e gli Usa in procinto di perdere anche l’ultima finestra temporale per limitare la diffusione dell’epidemia. Su questa divaricazione pesano due elementi decisivi: il rapporto tra politica e scienza e l’esistenza di un sistema socio-sanitario pubblico.

Per quanto riguarda il rapporto politica-scienza, pur avendo eccezionali scienziati operanti nei migliori centri di ricerca e università del mondo, il governo Usa ha largamente ignorato ogni consiglio e anzi la scienza è costantemente sotto attacco all’interno di importanti agenzie federali. Il governo italiano, invece, ha posto in modo limpido questo rapporto alla base delle decisioni operative, in questo modo prevenendo migliaia di morti evitabili.

Per quanto riguarda le condizioni socio-sanitarie, non vi è alcun dubbio che alcuni elementi alimentino o danneggino la salute e che l’intervento pubblico sia indispensabile e decisivo. Michael Marmot li ha riassunti in 6 categorie: condizioni legate alla nascita e alla prima infanzia, istruzione, lavoro, condizioni sociali degli anziani, una serie di elementi comunitari come trasporto, alloggio, sicurezza e, trasversalmente, ciò che egli chiama "equità", che equivale a una ridistribuzione sufficiente della ricchezza e del reddito per garantire la sicurezza sociale ed economica delle popolazioni.

Tutti questi elementi sono considerati basilari dalla nostra Costituzione e, seppur con alterne vicende e differente efficacia, la maggior parte dei governi italiani ha cercato di garantirli, mentre gli Stati Uniti hanno seguito un percorso differente che ora fa emergere drammatiche conseguenze.

Gli Usa, soli tra le democrazie occidentali, non hanno ratificato un lungo elenco di accordi di base delle Nazioni Unite sui diritti umani, tra cui il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, la Convenzione sui diritti dell’infanzia, la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Nella lotta per invertire il cambiamento climatico gli Stati Uniti sono, poi, quasi soli nel "ritiro" dallo storico accordo di Parigi. E hanno anche di gran lunga il più elevato tasso di carcerazione al mondo, mentre il tasso di persecuzione delle persone di colore è da 5 a 7 volte il tasso dei bianchi.

Le politiche di contrasto all’immigrazione sono brutali, la violenza è spesso sponsorizzata dallo Stato, l’abuso di minori e le separazioni familiari sono purtroppo frequenti, soprattutto al confine meridionale del Paese. Il numero di senza tetto e di persone sotto la soglia di povertà – anche "Avvenire" continua a documentarlo – è in continuo aumento. Gli Usa poi sono ancora lontani dal garantire la salute come diritto umano. Nonostante la legge voluta dall’allora presidente Obama, il numero di persone attualmente non assicurate negli Stati Uniti è di 30 milioni, e in aumento. Nessun’altra nazione ricca sulla terra ha numeri simili.
Queste incredibili fragilità della prima potenza del mondo producono oggi record negativi. Più di 53mila nuovi casi di Covid-19 nelle ultime 24 ore. Con almeno sette Stati che hanno fatto segnare il loro primato in un singolo giorno: Alaska, Arkansas, Florida, Georgia, Montana, South Carolina e Tennessee. Nelle ultime 24 ore i decessi sono stati 649, portando il bilancio complessivo delle vittime a 128.421. E il Center for Disease Control and Prevention prevede 148mila morti nel Paese per il coronavirus entro il prossimo 25 luglio. Una catastrofe a cui non si vede al momento possibilità di limitazione.

Ma anche noi non dobbiamo illuderci e dimenticare che gli sforzi e i sacrifici fatti negli ultimi mesi possono essere rapidamente vanificati se non si continua a essere cauti ed organizzati, rafforzando la più importante delle nostre opere pubbliche, il Servizio sanitario nazionale. Che è arrivato esangue alla sfida pandemica, depauperato di migliaia di medici e infermieri non sostituiti, di posti letto eliminati, di attrezzature non rinnovate, di organizzazioni sanitarie non adeguatamente gestite, di finanziamenti ridotti al lumicino. La pandemia si è scaraventata sulle debolezze del nostro sistema sanitario ed è stato solo grazie alla resistenza, in molti casi eroica, degli operatori che il peggio è stato evitato.

La sfida più importante che oggi si possa raccogliere è riuscire a vedere questa crisi come un’opportunità per introdurre riforme del sistema sanitario e, più in generale, del sistema di sicurezza sociale. Occorre "approfittare" della pandemia per cambiare in modo strutturale la Sanità in Italia, cercando di introdurre politiche efficaci per prevenire le malattie, rafforzare l’accesso a un’assistenza primaria di qualità e migliorare il coordinamento delle cure, soprattutto per le persone con patologie croniche. La nuova rotta dovrebbe ambire a riorganizzare il sistema assistenziale e, contemporaneamente, spostare risorse economiche e umane dalla cura delle malattie alla prevenzione. Ogni risorsa disponibile va utilmente considerata e investita. Senza escludere per puntiglio – come su queste colonne si è scritto a più riprese – anche il vantaggioso (e ora incondizionato) europrestito sanitario predisposto dal Mes.
Sia per l’Italia sia per gli Stati Uniti quella postpandemica può essere veramente l’epoca per un nuovo inizio, purché vi sia la responsabile volontà politica di farlo.

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