L'esercizio della grazia non sopporta forzature
venerdì 15 febbraio 2019

Il presidente della Repubblica può concedere grazia». Nel sobrio elenco dei poteri assegnati al capo dello Stato – indire elezioni, promulgare leggi, comandare le Forze armate, presiedere il Csm... – all’undicesimo comma dell’articolo 87 la Costituzione colloca anche la facoltà di aprire la cella ai detenuti. Il linguaggio dei padri costituenti è volutamente asciutto: non va oltre le esatte parole citate. Dunque, il provvedimento «clemenziale» che «estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con sentenza irrevocabile» – come spiega il sito del Quirinale nella sezione esplicativa dedicata alla Carta – non dipende da condizioni particolari, né va giustificata in alcun modo, o ricondotta a criteri che la collochino in un certo contesto: si tratta, appunto, di una «grazia» che il Presidente concede quando ravvisa a suo insindacabile giudizio che il provvedimento sia opportuno o necessario.

Le parole hanno un loro preciso significato, anche quando sono così poche, come in questo caso. Strattonare la Costituzione o il presidente della Repubblica per fargli dire quel che non dicono è un esercizio scorretto e strumentale, una pratica che andrebbe risparmiata ai simboli dell’unità nazionale. Ma ieri c’è chi non ha resistito e, dopo che il Colle nella serata di giovedì ha comunicato che il capo dello Stato aveva firmato tre «atti di clemenza individuale», si è aperto il gioco non già delle legittime interpretazioni ma dei malcelati ammiccamenti e delle allusioni tra le righe, il che è pure peggio.

I graziati sono infatti tre anziani – come fa notare con garbo il comunicato annotando le date di nascita: 1930, 1931 e 1941 –, con un residuo di pena da espiare di pochi anni (un massimo di 5 e 8 mesi), in «precarie condizioni di salute», con i «pareri favorevoli espressi dalle autorità giudiziarie», e condannati per delitti «maturati» in «eccezionali circostanze».

In carcere i tre sono finiti infatti per aver ucciso il figlio tossicodipendente o – in due casi – le mogli affette da Alzheimer. Così le «circostanze eccezionali» a qualcuno devono essere suonate come un’ammissione che dare la morte possa essere giustificabile in casi particolari, attribuendo questa recondita intenzione nientemeno che a Sergio Mattarella. Un’operazione più che ambigua in giorni nei quali la Camera sta esaminando inquietanti proposte di legge dal sapore eutanasico. Alle parole si lasci il loro significato, specie quando sono tanto calibrate. Imparando dal Colle che i cittadini vanno serviti, non ingannati.

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