venerdì 20 luglio 2012
Esecuzione in Texas, lunedì in Georgia tocca a Hill. «Vorrei dire alla mia famiglia che la amo, sono pronto»: sono state le sue ultime parole. A giorni in Georgia finirà davanti al boia un altro condannato con problemi psichici Appelli di Onu e Amnesty.
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​Un 33enne cresciuto in stato di abbandono, che è stato dichiarato affetto da difetti cerebrali a 2 anni e ha tentato il suicidio a 10, è stato messo a morte ieri in Texas. Ben pochi hanno dubbi che Yokamon Hearn fosse colpevole. Il giovane nero era stato condannato all’età di 19 anni per aver ucciso un uomo bianco durante una rapina, sempre in Texas. Hearn e un amico avevano sparato a Frank Meziere, un operatore di Borsa, ben dieci volte prima di rubargli la macchina. Un crimine assurdo e sanguinario del quale la giuria del caso conobbe i dettagli più orrendi. Quello che i giurati non sentirono mai, per negligenza dell’avvocato d’ufficio di Hearn, è che quel ragazzo violento aveva manifestato disturbi mentali dalla nascita, a causa delle ripetute sbornie della madre durante la gravidanza. Che non era riuscito a finire le elementari. E che non aveva mai avuto attorno un adulto in grado di prendersi cura di lui. Informazioni che nulla tolgono all’efferatezza dell’omicidio, ma che avrebbero dovuto rappresentare fattori mitiganti per la sentenza di Hearn. Non è successo e il ragazzo è stato condannato a morte. A nulla è servito un appello, quando alcuni particolari della triste esistenza dell’imputato sono finalmente venuti alla luce. I giudici del famigerato Quinto Circuito d’appello texano prima hanno rifiutato di riaprire il caso sulla base di carenze nell’assistenza legale del condannato, poi hanno respinto il precedente stabilito dalla Corte suprema Usa che proibisce mettere a morte un minorato mentale. Così ieri Yokamon Hearn è stato ucciso, nonostante martedì scorso l’ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani avesse lanciato un appello alle autorità texane affinché gli risparmiassero la vita: «È una violazione delle tutele previste dalla legge sulla pena di morte imporre la punizione capitale a individui con disabilità psico-sociali», aveva denunciato il funzionario Christof Heyns. «Vorrei dire alla mia famiglia che la amo, sono pronto», sono state le sue ultime parole. Hearn è diventato anche il primo prigioniero negli Usa a “sperimentare” sulla sua pelle l’efficacia di una nuova iniezione letale. Il ritiro dal mercato di uno dei componenti storicamente presenti nel cocktail usato per le esecuzioni negli States, il sodio di tiopentatolo, ha portato una manciata di Stati a tentare l’uccisione con un solo ingrediente, che a quanto pare rende la morte più lenta. La stessa formula verrà usata anche lunedì prossimo in Georgia per mettere fine alla vita di Warren Hill, che ha passato l’ultimo quarto di secolo in prigione per aver ucciso prima la fidanzata poi un compagno di cella. Anche nel caso del 52enne nero il problema non è la sua possibile innocenza, quanto le sue condizioni mentali, che lo stesso Stato della Georgia ha riconosciuto «ritardate». Particolare che i giudici hanno scelto di ignorare. Dopo numerosi inviti alla clemenza da parte delle Nazioni Unite, di Amnesty International e del governo francese, l’esecuzione è stata confermata. Questioni logistiche l’hanno fatta slittare di alcuni giorni, ma lunedì anche Hill riceverà l’ultimo pasto, poi una sostanza chiamata pentobarbiturico fermerà il battito del suo cuore.
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