giovedì 13 luglio 2017
Viaggio a Cranberry, in Pennsylvania, dove è tornata la speranza per 2.200 lavoratori minacciati dal fallimento della loro azienda. «È ancora l'unico a Washington che forse farà qualcosa per noi»
È un Trump «sotto assedio» ma piace sempre agli operai
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L’estate scorsa, quando Donald Trump è salito sul podio della convention di Cleveland e ha dichiarato alle comunità «schiacciate dal commercio internazionale » e agli operai «senza futuro » che era la «loro voce», a Cranberry, Pennsylvania, è tornata la speranza. Per i 2.200 dipendenti della Westinghouse Electric – che produce componenti per impianti nucleari e ha dichiarato fallimento a marzo – , i lavoratori dell’indotto della contea di Butler e tutti i loro familiari era il messaggio che aspettavano da anni.

Quella di riavere una voce, dopo essersi sentiti per tanto tempo messi da parte a favore di altri, americani e non, «meno meritevoli», era una promessa potente. Venuto novembre, nella contea a mezz’ora da Pittsburgh più del 70% ha dato la preferenza al repubblicano, facendogli conquistare lo Stato che votava democratico da 24 anni e la presidenza.

Oggi, dopo quasi sei mesi di Amministrazione Trump e pochi risultati legislativi di peso al suo attivo, soprattutto in aiuto dei meno abbienti, nelle città liberal della costa orientale americana si è diffusa la convinzione che gli elettori del tycoon stiano cominciando a pentirsi della loro scelta. In realtà, fra gli operai bianchi della “rust belt” (la cintura della ruggine), che negli ultimi vent’anni si è stretta un po’ di più ad ogni fabbrica che chiudeva, ci sono pochi segni di rimorso.

È vero che in Indiana, Pennsylvania e Ohio il numero dei sostenitori del tycoon si è assottigliato. Qualche esperto di sondaggi dice del 3, altri del 5 per cento. Ma il legame emotivo tra un presidente apparentemente senza freni e l’America che lavora con le mani, soprattutto bianca, rimane molto profondo. Quel grido lanciato a Cleveland un anno fa ancora suona più forte di ogni nuovo scandalo e persino del dubbio che forse Trump, nonostante l’impegno di «fare di nuovo grande l’America», non voglia o non possa riportare gli abitanti della contea di Butler alla sicurezza del passato.

«A volte dice cose stupide, è vero – riassume per tutti Jimmy Stadler, 39enne tecnico della Westinghouse – ma è ancora l’unico a Washington che forse farà qualcosa per noi». Stadler è fra i 300 abitanti di Cranberry che il 20 gennaio scorso sono sbarcati a Washington a bordo di una mezza dozzina di autobus per dimostrare al neo presidente che la sua attenzione era stata notata. «Anche per far vedere a tutti quei liberal che protestavano che, guarda un po’, questa volta avevano torto», spiega invece Gene DiMaggio, 58 anni, ex democratico. Poi però ammette che fra i suoi amici l’entusiasmo che li aveva tenuti svegli per le cinque ore di ritorno a casa quella notte di gennaio si è un po’ affievolito.

«Qualcuno dice che Trump si è circondato da troppi banchieri e da troppa gente ricca per ricordarsi di noi – dice –. Ma bisogna dargli tempo. Perderò la mia fede in lui se non fa qualcosa per me al più presto? No. Sarò deluso? Sì, ma sono rimasto deluso dalla politica tutta la mia vita, soprattutto dal partito democratico». All’uscita del turno mattutino del complesso Westinghouse non si parla di politica, bensì del mayor league di baseball o della pole position del campionato di auto da corsa della Nascar. Ma non ci vuole molto a scatenare una difesa sia del presidente che delle ragioni per averlo votato. Accennare al presunto razzismo di Trump, ad esempio, accende una discussione su come l’accusa di razzismo è ormai diventato un trucco degli intellettuali e dei progressisti per zittire la gente comune. Un modo per liquidare i bisogni di un’intera comunità (al 90% bianca), insomma, o per invalidare la sua stessa esistenza.

Sollevare un altro dubbio sulle intenzioni di Trump a favore della classe lavoratrice citando il suo budget che taglia i piani di assistenza per le famiglie a basso reddito, i pasti a scuola per i bambini e i sussidi di disoccupazione, dà adito a un malinteso. Sono misure che beneficiano i colletti blu, soprattutto in una cittadina dove pende la spada di Damocle della chiusura del principale datore di lavoro della regione. Ma a Cranberry non sono viste in questo modo. «Fa bene a tagliare – annuisce Owen Jackson – deve svezzare tutta questa marmaglia attaccata al seno dello Stato. C’è troppa gente che non ha voglia di lavorare. I pacchi regalo da Washington a spese dei contribuenti devono finire».

Gli operai e i tecnici della contea, infatti, non vogliono sussidi. Vogliono lavorare e non rischiare lil posto per colpa di decisioni strategiche prese dalla Toshiba (la casa madre della Westinghouse) in Giappone. E, soprattutto, vogliono poter dire quello che pensano senza essere «considerati dei trogloditi». Sì, gli immigrati devono venire dopo gli americani nella ricerca di un lavoro e nel welfare, recitano quasi in coro. Sì, una donna deve poter restare a casa con i suoi figli se il marito può permetterselo. No, i neri non devono avere vantaggi (l’affirmative action, creata per compensare i lasciti della schiavitù e della discriminazione razziale) nelle assunzioni e nelle ammissioni all’università.

Trump, spiegano, li capisce, e per questo questi suoi sostenitori, in calo ma per nulla in via di estinzione, vivono gli attacchi contro il presidente in modo molto personale. Quando i media criticano il tycoon è come se insultassero i loro amici o loro stessi. «Tutto ciò che la stampa sta facendo è solidificare il supporto delle persone che hanno votato per lui, mi creda – spiega DiMaggio –. Ha detto quello che voleva fare e ora sta facendo quello che ha detto che avrebbe fatto. Qual è il problema?»

A Cranberry, e negli altri comuni della contea, non è un problema che il capo della Casa Bianca sia in costante lotta con l’establishment, che sia il partito repubblicano, il Congresso, Silicon Valley o gli organi di stampa. Anzi, l’essere sotto assedio lo rende più simile ai suoi elettori, che da anni si sentono degli stranieri nella loro terra. «Non sarà il presidente perfetto – conclude Jackson – ma rispetta i nostri valori. Gli altri, dalla Clinton a Obama, ci guardavano dall’alto al basso».

1. Continua

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