sabato 30 marzo 2024
Viaggio nelle stanze delle sevizie della regione di Kharkiv dove l'esercito russo rinchiudeva i dissidenti durante i mesi di occupazione. Il grido orante di Barsik e il "Padre Nostro" nella cella
Nelle camere delle torture quelle preghiere di disperazione e speranza
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Per terra ci sono ancora i piatti in alluminio e i cucchiai. Anche le bottiglie in plastica che erano la sola forma di wc consentita restano in un angolo. L’unico materasso logoro e ammuffito copre il pavimento rosso carminio che sembra fatto apposta per nascondere qualsiasi traccia di sangue. Bisogna inginocchiarsi fin sul materasso per raggiungere quell’angolo di muro scrostato che accoglie la supplica di Barsik nella cella in cui l’esercito russo l’aveva rinchiuso. Un soprannome, com’è consuetudine in Ucraina, che sta per “piccolo leopardo”.

A Izyum la preghiera di uno dei detenuti rinchiusi nelle camere delle torture allestite dalle truppe di Mosca

A Izyum la preghiera di uno dei detenuti rinchiusi nelle camere delle torture allestite dalle truppe di Mosca - Gambassi

Barsik non deve avere più avuto né il vigore, né l’agilità del felino che gli è valso l’appellativo, quando ha inciso sulla parete la sua firma e una data: quella del 28 agosto 2022. Ma soprattutto quando ha scalfito una croce e scritto: «Signore, salvami e proteggimi». E appena sotto: «Amen». In russo, non in ucraino, benché lui fosse ucraino e i suoi aguzzini russi. Un’invocazione sulla bocca di tutti nel mondo ortodosso. La fede del prigioniero. E la fede che ammanta la nazione da cui sono arrivati i soldati che l’hanno segregato fra quattro pareti dove sono caduti i calcinacci e dove non esistono vetri dietro le sbarre della minuscola finestra. La sua colpa? Essere ucraino, e per di più anti-russo, in quella parte della regione di Kharkiv che le truppe di Putin hanno occupato nei primi sei mesi di guerra.

Il capo degli investigatori di Kharkiv, Serhii Bolvinov, in una delle celle di Izyum con le preghiere degli internati ucraini

Il capo degli investigatori di Kharkiv, Serhii Bolvinov, in una delle celle di Izyum con le preghiere degli internati ucraini - Gambassi

Occorre scendere sottoterra per leggere il grido di Barsik. «Probabilmente convinto di avere davanti a sé pochi giorni di vita», racconta il capo del dipartimento investigativo regionale della polizia, Serhii Bolvinov. La luce della sua torcia illumina la preghiera della disperazione e della speranza. «Una delle molte trovate nelle trentuno camere delle torture che abbiamo finora scoperto», aggiunge. Quella del “piccolo leopardo” è nel comando della polizia di Izyum, la cittadina martire che torna a essere nel mirino di Mosca e un obiettivo dell’offensiva che il Cremlino sta progettando nell’oblast. O meglio, in ciò che resta del commissariato. «L’edificio è stato bombardato all’inizio dell’invasione. Ma forse proprio per questo l’esercito russo l’ha scelto per le torture: una sorta di lager in cui occultare i suoi crimini agli occhi della popolazione locale e del mondo», spiega Bolvinov.

Nell'ex commissariato di polizia di Izyum una delle celle trasformate dai russi in camera della tortura durante i mesi di occupazione

Nell'ex commissariato di polizia di Izyum una delle celle trasformate dai russi in camera della tortura durante i mesi di occupazione - Gambassi

Si cammina fra le macerie, le mura annerite e i crateri alle pareti per raggiungere le due rampe di scale che portano alle celle del seminterrato. Sono rimaste in piedi nonostante i razzi e i colpi d’artiglieria che hanno bersagliato la stazione di polizia. «E qui è stata seviziata la nostra gente», ricostruisce il detective. Per estorcere informazioni. Per spingerla a collaborare. Per far tacere le voci di dissenso. Nei soffitti le crepe provocate dagli attacchi. A terra i frammenti dei mattoni che si sono staccati per l’onda d’urto. E sulle pareti sfregiate le testimonianze mute di chi è stato prigioniero per giorni, settimane, mesi: i segni per contare le albe che si susseguono; un calendario vergato sull’intonaco in cui le croci indicano le domeniche; i graffiti “oranti” come risposta alla ferocia.

Nell'ex commissariato di polizia di Izyum una delle celle trasformate dai russi in camera della tortura

Nell'ex commissariato di polizia di Izyum una delle celle trasformate dai russi in camera della tortura - Gambassi

«Nella guerra tocchiamo con mano la crudeltà dell’uomo - riflette il vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia, Pavlo Honcharuk -. Ma facciamo anche esperienza di Dio. Perché nella detenzione, sotto le bombe, in mezzo alla distruzione, c’è bisogno di trovare la forza per andare avanti. Così la fede diventa una risorsa». Come racconta il “Padre Nostro” scritto all’interno di una cella a Balakliya. Nella cittadina a novanta chilometri da Kharkiv le camere del “calvario” sono state trovate in due diversi palazzi, uno di fronte l’altro: sotto il complesso che ospitava una tipografia; e dentro il comando di polizia che i militari di Mosca avevano requisito.

La preghiera del 'Padre Nostro' in russo nella cella trasformata in camera della tortura dall'esercito di Mosca a Balakliya

La preghiera del "Padre Nostro" in russo nella cella trasformata in camera della tortura dall'esercito di Mosca a Balakliya - Avvenire

Qui gli agenti ucraini sono tornati a lavorare, diventando i custodi dei luoghi dell’orrore appena al di là dei loro uffici. Compresa la stanzetta che si apre oltre la porta blindata “Numero 1”. Solo due tavole di legno. E le quattro pareti giallo ocra, una delle quali accoglie l’intera preghiera insegnata da Cristo. Una croce scalfita con decisione precede il testo. In russo, anche stavolta. Le parole si fanno sempre più marcate via via che si giunge all’«Amen» finale cesellato con particolare evidenza. Accanto e sopra, le file di stanghette verticali che «sono servite ai reclusi per non perdere la cognizione del tempo e a noi a capire quanti giorni sono rimasti internati», afferma il capo dipartimento. Si arriva fino a trentatré linee.

La preghiera del 'Padre Nostro' in russo nella cella trasformata in camera della tortura dall'esercito di Mosca a Balakliya

La preghiera del "Padre Nostro" in russo nella cella trasformata in camera della tortura dall'esercito di Mosca a Balakliya - Avvenire

«Abbiamo accertato che almeno duecento persone siano state detenute a Balakliya. E abbiamo le prove di un uomo ucciso e di due donne violentate», fa sapere Bolvinov. L’uomo era un avvocato partigiano fedele a Kiev. «Lo hanno accusato di possesso di armi. Un pretesto per fermarlo. È stato sottoposto a scariche elettriche: abbiamo rintracciato gli elettrodi al piano superiore. Poi ha dovuto indossare una maschera antigas ma senza che venisse aperto il filtro dell’aria. Ed è stato strangolato». I soldati di Mosca hanno portato la salma nella viuzza dietro il comando. «È stata chiamata la famiglia. “Venite a prendere il cadavere. E niente domande. Altrimenti farete la stessa fine”, hanno detto ai parenti, cui è stato vietato di fare il funerale. Solo la sepoltura con pochi intimi. Dopo la liberazione abbiamo riesumato il corpo e l’autopsia ha confermato l’omicidio».

Una cella trasformata in camera della tortura dall'esercito di Mosca nel comando di polizia a Balakliya

Una cella trasformata in camera della tortura dall'esercito di Mosca nel comando di polizia a Balakliya - Avvenire

​È dal settembre 2022, ossia da quando i russi si sono ritirati e la prima controffensiva ucraina ha restituito al Paese molti dei territori caduti in mano russa nell’oblast di Kharkiv, che il team di Bolvinov indaga sulle camere delle torture. «La nostra regione è quella in cui è stato censito il numero di gran lunga superiore. Per un motivo. Siamo l’area liberata che più a lungo è stata controllata dall’esercito di Putin: sei mesi A differenza delle zone intorno a Kiev che sono state occupate per un mese». Mille gli agenti guidati da Bolvinov. E ventitré i superpoliziotti specializzati in crimini di guerra. Il gruppo di lavoro ha ricostruito l’identikit delle donne e degli uomini finiti nel tritacarne del Cremlino. «Sono insegnanti che sostenevano l’Ucraina, vigili del fuoco, familiari di militari, gente comune che si ribellava alle crudeltà del nemico».cNemico che nelle segrete dei maltrattamenti ha lasciato documenti militari ed elenchi con i nomi dei soldati. «Ne abbiamo già identificati cinquemila che hanno operato nella regione di Kharkiv. Sappiamo che c’erano militari brutali e altri meno disumani. Ma il nostro scopo è denunciare un sistema criminale che si accanisce contro i civili. E mostrare che cosa accade alla popolazione ucraina quando il Cremlino si impossessa delle nostre terre».

A Izyum la più grande fossa comune scoperta dall'inizio della guerra

A Izyum la più grande fossa comune scoperta dall'inizio della guerra - Gambassi

La fossa comune di Izyum, la più grande scoperta durante la guerra, ne è un ulteriore esempio. Su 449 corpi, «ancora 39 non hanno un’identità», chiarisce l’investigatore. È passato un anno e mezzo da quando il cimitero clandestino voluto dai battaglioni d’occupazione nel boschetto all’ingresso della cittadina è venuto alla luce. Bolvinov indica la croce con il numero 319 poggiata in una cavità. «Qui è stato gettato il cadavere di Volodymyr Vakulenko, lo scrittore di libri per l’infanzia che ha avuto il torto di vivere in una casa piena di volumi in ucraino». Le autorità di Mosca hanno negato il suo rapimento e hanno archiviato la vicenda come un caso di persona scomparsa. «Il test del Dna ha rivelato che la salma era la sua. È stato ucciso con due colpi di pistola alla testa». Erano di calibro 9. «Un’arma in dotazione ai vertici militari russi. Abbiamo dato un nome al suo assassinio: è un comandante originario della regione di Lugansk». Un ex ucraino passato dalla parte di Putin.

Nella fossa comune di Izyum il luogo dove è stato trovato il cadavere di Volodymyr Vakulenko, lo scrittore di libri per l’infanzia, ucciso dai russi

Nella fossa comune di Izyum il luogo dove è stato trovato il cadavere di Volodymyr Vakulenko, lo scrittore di libri per l’infanzia, ucciso dai russi - Gambassi

Nel commissariato bombardato di Izyum dove si sono consumate le violenze e gli abusi, tutto è stato lasciato così com’era quando la cittadina è stata liberata. «Vorremmo che diventasse un memoriale - auspica Bolvinov -. Il memoriale delle atrocità che in questa guerra sono state compiute e che qui vengono riassunte: i bombardamenti, le torture, l’accanimento contro la gente. E l’intento di cancellare la nostra identità. Conserviamo centinaia di passaporti ucraini rinvenuti nel comando che erano stati sequestrati dai russi. Li esporremo se il progetto si concretizzerà. Una fondazione statunitense ci ha assicurato il proprio sostegno».


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