venerdì 4 marzo 2022
In 22mila sono stati evacuati mercoledì. E chi resta cerca di dare aiuto «Distribuiamo cibo e medicine quando il fuoco si placa». Testimonianze
Un'immagine di Kharkiv sotto assedio

Un'immagine di Kharkiv sotto assedio - Ansa / Epa

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«Questa città sta diventando sempre più simile alla Sarajevo degli anni ’90. Sganciano missili ogni giorno», è la constatazione amara di Sashko Brynza, fotografo e cameraman, in uno dei messaggi che ci scrive tra uno spostamento e l’altro, dalla periferia al centro, dai bunker alla superficie, cercando di portare avanti il lavoro. In un paio di occasioni usa il termine russo, Kharkov, per denominare la sua città, secondo centro dell’Ucraina, 1,4 milioni di abitanti per la maggior parte russofoni. «Se prima qui a Kharkov molti erano fedeli a Putin e a Mosca, ora sempre più cittadini provano odio. I bombardamenti non si fermano. Da lunedì vengono colpite anche le zone residenziali, da martedì il centro».

Chi riesce a uscire dai rifugi per rifornirsi di cibo e acqua trova «code enormi, aspetta ore». Poche possibilità di mettere piede fuori, invece, per chi vive nei quartieri più bersagliati. «Sono quelli di Saltivka, periferia nord-orientale, HTZ in quella sud-orientale, di Kholodna Hora e di Nuova Baviera, a ovest, e anche del centro», dice il fotografo.

Per chi non ce la fa più e vuole andarsene, le ferrovie continuano a funzionare. «Chi parte, e sono in tanti, aspetta ore, sale su qualsiasi convoglio diretto a ovest, senza biglietto». Sui social, in tenuta militare, il capo dell’amministrazione regionale Oleg Sinegubov parla del tentativo di «aumentare i treni che servono la Stazione Sud. Coordiniamo gli interventi con il ministero delle Infrastrutture».

Mercoledì da Kharkiv sono stati evacuati 22mila residenti. Oleg Sinegubov dà conto anche dell’arrivo di aiuti umanitari. «Medicinali, vestiti, cibo, più di 60 vagoni e 35 tir di materiale di prima necessità», riferiva ieri a mezzogiorno. Tra la popolazione che si è resa disponibile a dare una mano, quando l’inferno di missili lo consente, c’è anche Vera, 47 anni, sarta in un atelier di moda. Ieri mattina su Facebook scriveva: «Grazie a tutti per le offerte di evacuazione, ma ho preso una decisione ferma, resto a Kharkov».

Nel pomeriggio riusciamo a contattarla. Risponde dallo scantinato di casa. «È una pioggia di missili qui, come grandinasse. Quando si può uscire, distribuisco medicinali e altro materiale. Siamo in tanti a dare aiuto. Riusciamo a farlo quando il fuoco si placa. Ora no, siamo sotto le bombe, anche in questo momento, le sentiamo così forti che dobbiamo restare nascosti».

Il coprifuoco scatta alle 16 e si conclude alle 6 del mattino. Vietato spostarsi in gruppo, obbligo di mostrare i documenti. «Se si viene fermati dalla polizia, mantenere la calma. C’è il rischio della presenza di gruppi di infiltrati e di attacchi alle posizioni delle forze armate», è il messaggio delle autorità. In un successivo contatto Vera è, se possibile, ancora più allarmata: «Stanno distruggendo il distretto di Saltivka, ci sono notizie che il mercato di Barabashovo sia in fiamme. È uno dei più grandi dell’Ucraina». Le ore, per lei, passano «in uno stato di confusione e terrore per i bambini. Mio nipote di due anni vive nel seminterrato da otto giorni». Poi, bruscamente, un altro messaggio: «Mi dispiace, devo salutare. Le esplosioni ora sono troppo vicine».

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