giovedì 14 aprile 2016
Trivelle offshore, Obama cambia idea e le ferma
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Le trivelle offshore? Obama ci ha ripensato e le ha fermate. E a breve, secondo alcuni media, potrebbe imporre nuove regole più stringenti per le perforazioni al largo delle coste. Anche la concorrenta democratica numero uno alla Casa Bianca, Hillary Clinton, è contro. L'onda lunga delle loro posizioni si continua a infrangere sul dibattito italiano legato al referendum del 17 aprile. L'ex first lady aveva addirittura rotto il "fronte" con Obama quando lo scorso maggio il presidente aveva dato il via libera alle trivellazioni nella regione artica: "quella regione è un tesoro unico. Le trivellazioni non sono un rischio che vale la pena correre", aveva accusato. Ma in ottobre Obama ha cambiato rotta, bloccando per i prossimi due anni i piani per la concessione di licenze nell' area e rifiutando di estendere quelle vendute in precedenza a Shell e Statoil. Gli ambientalisti l'hanno celebrata come una vittoria, ma sul dietro front ha pesato anche la precedente decisione della Shell di cancellare alcuni progetti locali a causa dei deludenti risultati preliminari e dei bassi prezzi del petrolio, che rendono costosissime le trivellazioni in una regione ostile come quella dell'Artico. Dopo aver bloccato il mese successivo anche la costruzione dell'oleodotto Keystone, che avrebbe dovuto importare petrolio dal Canada, Obama ha proseguito la sua "svolta verde" facendo retromarcia il mese scorso anche sulle trivellazioni di gas e petrolio al largo della costa sud orientale dell'Atlantico. Il nuovo piano "protegge l'Atlantico per le generazioni future", ha spiegato il ministro degli Interni americano, Sally Jewell. Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia e Florida rimarranno zone off limits per la ricerca e l'estrazione di idrocarburi offshore fino al 2022. Il piano precedente era stato approvato dal presidente nel 2015 dopo che governatori e legislatori degli Stati interessati avevano espresso il loro sostegno per le trivellazioni, confidando in nuovi posti di lavoro e nell'aumento delle entrate statali. La popolazione locale e gli ambientalisti invece si erano opposti esprimendo preoccupazione per la possibilità di incidenti come quello nel Golfo del Messico, che nel 2010 causò la dispersione di milioni di barili di petrolio anche sulle coste degli Stati vicini, con danni liquidati recentemente in 20 miliardi di dollari a carico della Bp. A pesare sulla decisione finale anche il Pentagono, preoccupato per possibili interferenze con le attività militari nell'area.
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