mercoledì 8 dicembre 2010
Decine di pastori fedeli al Papa sono stati costretti con la forza a prendere parte a Pechino al vertice della Chiesa che si è aperto ieri. Altri si sono nascosti o dati per malati. Il governo sceglie il basso profilo: è solo «una riunione per una nuova tornata
di leader».
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Le decine di vescovi della Chiesa ufficiale sono stati deportati a forza nella capitale per costringerli a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, che si è aperta oggi a Pechino. Da diversi mesi il Vaticano aveva chiesto ai vescovi di non parteciparvi perché essa è inconciliabile con la fede cattolica. L’Assemblea era stata rimandata per almeno quattro anni perché i vescovi ufficiali, in obbedienza alle indicazioni della Santa Sede, hanno sempre rifiutato di prendervi parte.Il regista dell’operazione, il laico Antonio Liu Bainian, vicepresidente dell’Associazione patriottica (Ap), ha sminuito l’importanza dell’evento, dicendo che è solo «una riunione per una nuova tornata di leader». In realtà l’Assemblea dovrebbe portare all’elezione del presidente nazionale dell’Associazione patriottica e del presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, due organismi inaccettabili per i cattolici perché mirano all’edificazione di una Chiesa indipendente, staccata dal Papa. Inoltre tale raduno è “l’organismo sovrano” della Chiesa ufficiale cinese, in cui i vescovi sono una minoranza, fra rappresentanti cattolici e governativi. In essa si prendono decisioni ecclesiali a colpi di votazioni manipolate. Prima del raduno di oggi, tutti i partecipanti hanno ricevuto da Liu Bainian le indicazioni di cosa fare e di cosa votare.I lavori dell’Assemblea sono circondati dal segreto e da un profilo basso: per tutta la giornata è stato impossibile contattare chiunque; solo verso la mezzanotte la Xinhua ha dato notizia dell’evento in poche righe.  Il tema di quest’anno (l’Ottava Assemblea) è roboante: «Sostenere i principi per una Chiesa patriottica indipendente, resistere alle forze esterne alla nazione e unire tutto il clero e i cattolici per camminare sul sentiero della società socialista». Nel gergo comunista cinese, «indipendenza» significa autonomia e distacco da Roma; «forze esterne» significano il Vaticano e la Santa Sede che, esercitando il loro ministero ecclesiale, per l’Ap e il governo compiono «un’influenza indebita» e «coloniale» sulla Chiesa cinese.Il raduno è cominciato nel pomeriggio al Friendship Hotel, nel nord di Pechino, dove si sono susseguiti diversi oratori: Liu Bainian, monsignor Fang Xinyao di Linyi (Shandong), i vescovi Ma Yinglin di Kunming (Yunnan) e Zhan Silu di Mindong (Fujian). Questi due sono stati ordinati nel 2006 senza il mandato della Santa Sede e sono scomunicati.Secondo l’Amministrazione statale per gli affari religiosi, i partecipanti sono 341. Fra essi vi sarebbero 64 vescovi, 162 preti, 24 suore e 91 laici. Fino ad ora non si sa se il numero 64 indica i vescovi invitati o i reali partecipanti.Secondo fonti di AsiaNews diversi vescovi, per evitare di essere trascinati a Pechino, si sono nascosti o si sono dati per malati. Altri sono stati presi di forza da rappresentanti governativi e trascinati all’Assemblea contro il loro volere. Altri ancora, che sapevano di non poter sfuggire, hanno accettato di venire a Pechino, ma hanno deciso di non concelebrare le messe all’Assemblea, essendo presenti alcuni vescovi scomunicati.Vi sono comunque anche vescovi che non hanno opposto alcuna resistenza. La diocesi di Pechino, nel suo bollettino, ha pubblicato due articoli per onorare l’evento.Alla cerimonia di apertura hanno partecipato anche Zhu Weiquan, del Fronte Unito, e Wang Zuoan, capo dell’Ufficio affari religiosi. Quest’ultimo, nel suo discorso di saluto, ha esaltato il Partito comunista cinese e il governo che «rispettano la religione dei cattolici e difendono i loro interessi legali».Alla cerimonia sono presenti anche rappresentanti ufficiali delle comunità protestanti, buddiste taoiste e musulmane.
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