sabato 20 gennaio 2024
Lo scontro Biden-Netanyahu, l'ultima provocazione all'Iran, la situazioni politiche interne: tutti ingredienti che potrebbero purtroppo portare all'escalation, tanto temuta da tanti e da troppo tempo
L'ultimo colloquio tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu a Tel Aviv, il 18 ottobre scorso

L'ultimo colloquio tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu a Tel Aviv, il 18 ottobre scorso - Reuters

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Il vero rischio di escalation è adesso. Perché ora si che ci sono le condizioni di una tempesta perfetta. Le preventive cassandre, che da tre mesi quasi lo auspicavano, ora potranno dire di averlo detto, svestire i vecchi panni e indossare quelli appena stirati delle prefiche. Tre mesi dopo. Perché lo scenario, adesso, diventa davvero preoccupante.

Joe Biden, dopo un mese di silenzio, ha dovuto portare alla luce la crisi, come un rapporto coniugale che fulmina tutti a ciel sereno con un’istanza di separazione. Bibi si rivolta e Joe non sa più come fermarlo. Il colloquio, lungo e franco, dell’altra sera, dopo l’ultima telefonata troncata del 23 dicembre scorso, si è manifestato oggi come il più classico dei giochi delle parti: il capo della Casa Bianca fa filtrare che Netanyahu (se non contrario) è almeno disposto a parlare (alle sue condizioni) della politica di due Stati. L’altro, il premier israeliano, fa interrompere ai suoi portavoce il rispettoso silenzio fino al tramonto del sabato facendogli dire chiaramente che l’americano si è inventato praticamente tutto. Fin qui la normale dialettica tra due personaggi che non si sopportano da tempo, forse da sempre.

Il tutto aggravato da un periodo di stasi totale nei colloqui, pressing sugli ostaggi per quanto riguarda il leader israeliano e una campagna elettorale entrata già in velocità negli Stati Uniti, con un Trump agguerrito che morde alle caviglie di “Sleepy Joe”. Non appare quindi così strano il fatto che poche ore dopo il colloquio e proprio mentre Teheran e Islamabad si scambiavano parole di miele e di de-escalation (dopo la rispettiva salva di missili che rischiava di aprire un altro escalante scenario), l’esplosione a Damasco abbia riportato tutti alla realtà. Alla visione di insieme che sta sempre più scricchiolando. Un gancio assestato alla mascella di Ali Khamenei che ora è davanti al dilemma: reagire e scatenare una mezza guerra mondiale in Medio Oriente, o usare la pazienza persiana per trovare il modo di farla pagare al “nemico sionista”? Intanto i fedelissimi sciiti hanno scaricato missili sulla base aerea statunitense di Ain al-Asad, mentre Teheran faceva sapere di “riservarsi il diritto di rispondere a Israele”. Questa è la situazione al momento. Con chi dovrebbe fare il pompiere, come Joe Biden, che sembra aver esaurito ormai le già scarse riserve di acqua per spegnere un fuoco che rischia di finire fuori controllo. Come una tempesta perfetta.

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