venerdì 17 maggio 2024
La sfida di Space-Out: novanta minuti senza parlare o usare il telefono. L'artista Woopsyang: così ribaltiamo la convenzione sociale che premia solo l'attivismo
Una giovane sudcoreana indossa un jokduri durante la tradizionale cerimonia di raggiungimento della maggiore età a Gwangju

Una giovane sudcoreana indossa un jokduri durante la tradizionale cerimonia di raggiungimento della maggiore età a Gwangju - ANSA

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Provateci voi. N-O-V-A-N-T-A minuti senza parlare, senza addormentarsi e soprattutto senza toccare o consultare il telefono, questo “divoratore” seriale della nostra attenzione. N-O-V-A-N-T-A minuti senza fare (apparentemente) niente. A Seul ci hanno provato lo scorso fine settimana almeno cento “concorrenti” nell'annuale competizione Space-Out, sorta di Olimpiadi del far niente, giunta quest’anno alla sua decima edizione. Un appuntamento per oziosi perdigiorno? Niente affatto, Space-Out – inventata, dall’artista visiva conosciuta con lo pseudonimo di Woopsyang, dopo aver subito un grave esaurimento – si presenta come una forma di arte performativa, “in parte una sfida fisica, in parte un'opera d'arte e in parte una tregua dalla società iper-competitiva della Corea del Sud”, come scrive la Cnn. Un modo di stare al mondo che si riconnette alla pratica della meditazione, il cuore segreto (e dimenticato?) delle civiltà asiatiche.
Le regole sono semplici. È vietato parlare, addormentarsi, consultare il telefono. Durante la competizione, la frequenza cardiaca dei partecipanti viene monitorata costantemente, mentre gli spettatori votano i loro dieci concorrenti preferiti. Chi tra i dieci che hanno raccolto più voti avrà la frequenza cardiaca più stabile si porterà a casa il trofeo. Gli organizzatori ci tengono a precisare che non si tratta di una “tortura”. I partecipanti possono esprimere le proprie esigenze mostrando dei cartellini colorati. Il cartellino blu significa che hanno bisogno di acqua, il rosso che necessitano di un massaggio e il giallo che chiedono di essere ventilati.

L’ozio competitivo, ha spiegato Woopsyang, “ribalta la convenzione sociale secondo cui distanziarsi è una perdita di tempo nella società frenetica di oggi e la trasforma in un’attività preziosa”. Non si tratta, dunque, “di una perdita di tempo ma di un tempo di cui si avverte veramente il bisogno”.
"Sebbene i concorrenti stiano fermi all'interno del luogo della competizione, il pubblico è in costante movimento", puntualizza ancora l’ideatrice di Space-out, aggiungendo che il suo obiettivo è quello di “creare un contrasto visivo tra un gruppo che non fa nulla e un gruppo che è occupato". Certo non sfugge il paradosso: nella super competitiva Seul anche il non far niente, l’abbandonarsi a un tempo vuoto, immunizzato da lavoro e dalla frenesia, viene organizzato in una forma competitiva, pensato insomma come una prestazione.

D’altronde non si può dire che la società sudcoreana non assommi una serie di contraddizioni laceranti. All’inizio degli anni ’60, il 40% della popolazione sudcoreana viveva in assoluta povertà. Nel 1996 il Paese è entrato a far parte del club dei paesi ricchi, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. E oggi la Corea del Sud è uno dei Paesi più ricchi del mondo con un reddito pro capite di 35.000 dollari. Nel 1945, il tasso di alfabetizzazione del paese asiatico era inchiodato al 22%, uno dei più bassi al mondo. Nel 1970 era schizzato al 90%.
La Corea, che detiene il triste primato del Paese con la più bassa natalità al mondo, è anche quello che ha il tasso di suicidi più alto tra i 38 membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. E se non bastasse, la cosiddetta “morte per superlavoro” ufficialmente miete circa 500 vite ogni anno, anche se la cifra reale potrebbe essere ben più alta.
Insomma fermarsi non solo serve, ma a volte è anche urgente.

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