sabato 23 dicembre 2023
La festa di chi ha lasciato tutto o ha perso la casa sotto le bombe. Il sogno di Natalia che ha partorito una figlia nei sotterranei dell'ospedale attaccato: il mio nuovo bimbo non nascerà fra i razzi
La Vigilia di bambini e mamme nel “villaggio degli evacuati” lungo il fronte
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«Spero che stavolta mio figlio non nasca sotto i missili». Un lungo cappotto blu stringe Natalia Efimova e la sua pancia ben evidente. Ha trent’anni ed è all’ottavo mese di gravidanza. «Certo che festeggerò il Natale il 25 dicembre, secondo la nuova data scelta dall’Ucraina – sorride –. Lo devo anzitutto ai miei due bambini: hanno bisogno di serenità». Nell’appartamento che condivide con la suocera, l’albero di Natale si scorge appena sul pensile accanto alla tv. Poche palline. Una fila di luci. E i regali già sistemati sotto: una coperta fatta a mano; un paio di guanti; due cappellini di lana; le confezioni di pannolini; e anche una busta di detersivo. Tutti doni di un Babbo Natale dal volto femminile: le suore greco-cattoliche di San Giuseppe. «Non ci possiamo permettere altro», sospira Natalia.

Mamme e bambini a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati”. A sinistra, Natalia Efimova che aspetta il terzo figlio e ha partorito la secondogenita nei sotterranei dell'ospedale sotto le bombe

Mamme e bambini a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati”. A sinistra, Natalia Efimova che aspetta il terzo figlio e ha partorito la secondogenita nei sotterranei dell'ospedale sotto le bombe - Gambassi

È consapevole, però, che il suo vero Natale sarà a gennaio: non perché lei sia rimasta fedele al vecchio calendario che fino ai mesi scorsi legava Kiev a Mosca anche nel giorno della Natività, il 7 gennaio, ma perché fra qualche settimana avrà il terzo figlio. La sua ultima Betlemme dove è venuta alla luce Erika, la secondogenita che ha un anno e tre mesi, era il seminterrato dell’ospedale di Kupiansk. «I russi bombardavano e mi hanno fatto partorire nei sotterranei. Ero terrorizzata e da sola. Mio marito era rimasto negli scantinati del condominio dove stavamo con il nostro primo figlio Miroslav». Oggi ha tre anni. «Ogni neonato è un segno di speranza in mezzo a questa guerra che sembra non finire mai», dice anche a nome nel marito. Sfollati. Senza più nulla da quando sono stati costretti a lasciare Lyman, l’abitato che era la “porta del Donbass” e che adesso la furia russa ha reso spettrale.

Mamme e bambini a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” che continua a essere bombardata

Mamme e bambini a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” che continua a essere bombardata - Gambassi

Natalia ha sfidato la neve ghiacciata e il vento gelido pur di presentarsi nel piazzale dove vengono distribuiti gli aiuti umanitari portati anche dalle religiose. Tutta la sua famiglia vive di ciò che la solidarietà recapita a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” nell’ultimo lembo della regione di Kharkiv. Un nome mutuato dal padre della cultura ucraina Taras Shevchenko e riguadagnato con la fine dell’Unione Sovietica che lo aveva cambiato per cancellare ogni riferimento autoctono. Da marzo a settembre 2022 è stata in mano russa: sei mesi d’occupazione; poi la liberazione. Ora è il paese che salva gli evacuati, il primo “porto sicuro” di chi fugge dall’esercito di Putin che attacca i villaggi lungo la linea di combattimento: quelli della regione di Donetsk, ad esempio intorno a Bakhmut, ormai conquista da Mosca; o quelli vicino a Kupiansk, la città dell’estremo oriente dell’Ucraina dove dall’autunno si combatte una delle più feroci battaglie.

Le macerie di uno dei bombardamenti a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” nella regione di Kharkiv

Le macerie di uno dei bombardamenti a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” nella regione di Kharkiv - Avvenire

Il confine russo è a cinquanta chilometri; il fronte a meno di trenta chilometri, proprio alle porte di Kupiansk che rimane il capoluogo del distretto in cui si trova Shevchenkove. Duemila i rifugiati che la abitano, su diecimila che hanno scelto di restare fra l’agglomerato principale e i villaggi sparsi. «Qui i colpi d’artiglieria non arrivano: per questo siamo considerati un rifugio. Ma i missili, sì. E molti», spiega il capo dell’amministrazione militare, Sergey Starikov. Una cartina appesa alla parete del suo ufficio nel municipio indica le postazioni nemiche a ridosso del territorio: troppe. «In una manciata di secondi si giunge a bersaglio. E siamo stati teatro di una delle maggiori stragi di civili dall’inizio della guerra: quella di Groza. È a due chilometri», prosegue. Cinquantanove vittime per una bomba indirizzata sull’unico locale pubblico del villaggio dove si erano ritrovati amici e parenti che avevano partecipato al funerale di un militare.

L'hub umanitario che sfama bambini, mamme e anziani a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati”

L'hub umanitario che sfama bambini, mamme e anziani a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” - Gambassi

L’ultimo razzo è caduto due giorni fa. «Avevamo programmato il concerto di Natale. I soldati ci hanno detto di annullarlo per ragioni di sicurezza», racconta Tatiana Oncirova. Quarantasette anni, dirige il coro che «i bombardamenti non hanno fermato». Lavorava nella Casa della cultura. «Ormai è solo macerie dopo un raid», aggiunge. Sarebbe stato un concerto clandestino, affidato solo al passaparola, con un pubblico limitato. «Sappiamo che fra noi ci sono i collaborazionisti. Anche a Groza tutto è successo perché qualcuno ha riferito ai russi dell’incontro. Non so se i nostri si vendano al nemico per soldi. Ma ogni raduno può finire nel mirino. Persino quando distribuiamo gli aiuti».

Tatiana Oncirova, direttrice del coro e fondatrice del centro umanitario a Shevchenkove

Tatiana Oncirova, direttrice del coro e fondatrice del centro umanitario a Shevchenkove - Gambassi

Perché Tatiana è l’animatrice dell’hub che sfama e veste i bambini, le famiglie e gli anziani di Shevchenkove. Un salone. Due stanze sul retro. E scatoloni di abiti, cibo, detersivi, saponette. «Le persone vivono grazie alle organizzazioni che ci sostengono», conferma il “sindaco” militare. Più volte ha invitato la sua gente, soprattutto i genitori con i bambini piccoli, ad andarsene. «Però “evacuazione” è una parola che non piace», avverte. Tatiana ha censito 1.700 ragazzi da zero a diciassette anni nella zona. «È vero: qui non c’è lavoro. Ma chi può fare avanti e indietro con Kharkiv che è a ottanta chilometri? Oppure chi può permettersi di trasferirsi in una grande città o nell’ovest dell’Ucraina se non hai più nulla?», chiarisce. Soprattutto quando il sussidio per uno sfollato è di duemila grivnia al mese, meno di cinquanta euro.

Una mamma con il bambini che ha ricevuto i doni di Natale portati dalle suore greco-cattolica a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati”

Una mamma con il bambini che ha ricevuto i doni di Natale portati dalle suore greco-cattolica a Shevchenkove, la “cittadina degli sfollati” - Gambassi

Lo sa bene Vladimir Kassianov. Ha abbandonato a Kupiansk a fine agosto. «E mi sono sistemato qui dai parenti. Non ho la possibilità di spostarmi altrove». Ha 33 anni e tre figli. «La più piccola, Anna, ha tre mesi. Doveva nascere a Kupiansk ma non c’è più la maternità». È stata l’occasione per fuggire. «Prima che Putin ci aggredisse, avevamo tutto: una casa, il lavoro, un futuro come famiglia con mia moglie Iryna. Adesso il nostro domani è nei figli. Ma come li cresceremo?». La casa è ancora in piedi in una città su cui si accanisce l’armata del Cremlino per impadronirsene a tutti i costi. «Ci torno ogni tanto ma è molto pericoloso». Un contratto d’impiego ce l’ha: sulla carta, però. «Rimango autista in una fabbrica alimentare che è stata bombardata». Lungo le strade di Shevchenkove non ci sono addobbi delle feste. Figurarsi un abete decorato nella piazza centrale che, secondo l’assunto condiviso, può essere un potenziale obiettivo russo. «Mi sono domandato se fosse giusto festeggiare il Natale – ammette Vladimir –. Ho guardato i miei figli. Non so che cosa sentano nell’anima o se nascondano la paura. Avrebbero diritto a un’infanzia felice. Il Natale è già qualcosa».

Vladimir Kassianov ha tre figli. E' stato costretto a fuggire da Kupiansk da cui passa la linea del fronte

Vladimir Kassianov ha tre figli. E' stato costretto a fuggire da Kupiansk da cui passa la linea del fronte - Gambassi

Non avrà suo marito accanto Oksana Ocerklevic. Saranno solo lei, Vitalina di otto anni e Igor di otto mesi. «Lui è un militare della 92ª Brigata di stanza a Bakhmut nel Donetsk». L’oblast dove vivevano. «Il nostro villaggio nei dintorni di Toretsk è completamente distrutto», fa sapere. E si è ritrovata qui, senza parenti al suo fianco. «Però almeno non sono distante da mio marito. Se sono preoccupata per lui? Molto. Ma per non impazzire cerco di pensarci in meno possibile». Anche lei bussa al polo sociale di Tatiana. «A ogni mamma che entra ripeto: “Prega per la pace”», confida la referente. Sotto il crocifisso ha messo una bandiera dell’Ucraina: accoglie le firme dei battaglioni che difendono la cittadina. L’assalto russo a Kupiansk avrebbe come ulteriore mossa l’offensiva verso Shevchenkove. «Siamo consci che la situazione stia peggiorando. Ma ho fiducia nei nostri militari. E resistono».

Oksana Ocerklevic assieme alle sue due figlie: la sua casa è stata rasa al suolo in Donbass. Con loro suor Olexia, religiosa di San Giuseppe, che porta gli aiuti umanitari nei villaggi più difficili

Oksana Ocerklevic assieme alle sue due figlie: la sua casa è stata rasa al suolo in Donbass. Con loro suor Olexia, religiosa di San Giuseppe, che porta gli aiuti umanitari nei villaggi più difficili - Gambassi

Con la sua collaboratrice Lidia e con le suore, Tatiana suona il campanello all’appartamento di una donna che ha il suo stesso nome: Tatiana. «Ecco i regali di Natale», annuncia Lidia. Un cratere che si scorge dalla finestra racconta di un missile piombato all’angolo della strada. Sul letto c’è Artem: sedici anni, ma da otto paralizzato per una malattia neodegenerativa.

Tatiana, la mamma coraggio che assiste il figlio paralizzato a letto sotto le bombe

Tatiana, la mamma coraggio che assiste il figlio paralizzato a letto sotto le bombe - Gambassi

«Restiamo perché non abbiamo alternative», dice la mamma coraggio. E accarezza il marito Mykola. «È stato lui a salvarlo mentre i russi bombardavano a tappeto. Se l’è caricato sulle spalle e l’ha nascosto nelle cantine. Se Artem è ancora vivo, lo devo a lui. E a una bombola d’ossigeno che gli ha consentito di continuare a respirare. Ma è finita da tempo…».


Per aiutare i poveri di guerra di Kharkiv contattare suor Olexia alla mail: soleksia@gmail.com (si può scrivere in italiano)

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