domenica 29 marzo 2009
Si sta spostando dall’Asia al Continente nero il traffico criminale dei medicinali scaduti oppure riciclati, prodotti senza principio attivo o addirittura con sostanze nocive. Un fenomeno favorito dal mercato nero
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E' una delle speculazioni più odiose. Perché condotta let­teralmente sulla pelle dei malati, dei bisognosi, dei più po­veri. E perché, oltre a illudere e fa­re perdere tempo prezioso di cu­ra, spesso mette a rischio la vita stessa delle vittime. Quella dei farmaci contraffatti ( 500 morti l’anno nel mondo) è u­na nuova piaga che minaccia l’A­frica. Si considerano tali « le me­dicine che, intenzionalmente e dolosamente, non concordano con provenienza e descrizione ri­portate sull’etichetta o sulla con­fezione». Sebbene non sia ancora stata formulata una definizione soddisfacente a livello interna­zionale, quella fornita dall’Orga­nizzazione mondiale della sanità ( Oms) è attualmente la più consi­derata. Il Center for Medicine in the Pu­blic Interest ( Cmpi), un’organiz­zazione indipendente di ricerca­tori, stima che globalmente il gi­ro d’affari della contraffazione di farmaci sarà di 75 miliardi di dol­lari nel 2010, il doppio rispetto a quello del 2005. Dall’Asia, da cui erano partiti i primi drammatici allarmi, questo fenomeno di na­tura criminosa si è trasferito nel Continente nero, dove la popola­zione ha disperato bisogno di me­dicine e molti governi non dimo­strano un serio impegno nel com­battere il traffico. Aggravato dal fatto che la scarsità di risorse spin­ge molte persone a rivolgersi al mercato nero, dove i rischi di im­battersi in prodotti non sicuri è altissimo. La situazione è doppiamente gra­ve. Da una parte, secondo l’Oms, circa il 60% dei farmaci che arri­vano nel Continente sono inutili o inefficaci – in quanto pensati per curare patologie tipiche dell’Oc­cidente – oppure scaduti. D’altra parte, cresce appunto il fenom­e­È no delle truffe, che può assumere varie forme: c’è chi produce ' fal­se' medicine con acqua, zucche­ro e amido, quando non sostanze tossiche; ci sono industrie che per risparmiare riducono la quantità di principio attivo o limano le do­si; c’è infine chi acquista partite in scadenza e cambia le etichette. « I contraffattori sono diventati molto bravi a imitare le confezio­ni originali » , spiega Albert Wertheimer, farmaco- economi­sta all’americana Temple Univer­sity. In Africa, ad esempio, sono già state trovate perfette imita­zioni dei prodotti della Hol­leypharm, che produce antimala­rici nella sua fabbrica di Chong­qing, nella Cina centrale. La mag­gior parte delle medicine 'false' sembrano appunto provenire dal grande Paese asiatico, che nel campo dei farmaci ricopre un ruolo ambiguo: secondo gli e­sperti, infatti, le fabbriche cinesi sono le più legittimate a produr­re farmaci grazie alla cultura mil­lenaria legata anche alla medici­na tradizionale, ma nello stesso tempo il governo di Pechino fati­ca a contrastare il fiorente merca­to dei medicinali fasulli. Nel 2007, è stato addirittura giustiziato un ufficiale governativo che ne ave­va sdoganata una grossa par­tita. I farmaci arri­vano anche da India, Europa e Stati Uniti. Un recente studio pubblicato sul­la rivista scien­tifica ad acces­so libero PLoS ha documenta­to come un’in­gentissima quantità di antimala­rici contraffatti si trovi ormai dap­pertutto in Africa. I test afferma­no che il 35% dei medicinali ven­duti in sei Paesi ( Uganda, Kenya, Ghana, Nigeria, Ruanda, Tanza­nia) non contiene sufficienti prin­cipi attivi o che essi non si assi­milano in maniera adeguata. I­noltre, il 78% dei farmaci è costi­tuito da monoterapie a base di ar­temisia, la pianta che costituisce il principale ingrediente per com­battere la malaria. Ma dal gennaio 2006 l’Oms ha vie­tato l’uso di monoterapie, inti­mando alla case farmaceutiche di produrre antimalarici composti da una combinazione di diverse molecole. Nel maggio 2007, la stessa Oms è riuscita a bloccare ufficialmente il commercio di mo­noterapie a base di artemisia, tut­tavia solo 40 su 74 aziende a livel­lo mondiale ne hanno interrotto la produzione. E 42 nazioni, 18 delle quali nell’Africa subsaharia­na, permettono ancora alle case di vendere tali prodotti. « I farma­ci scadenti – ha dichiarato Roger Bate, dell’American Enterprise In­stitute, responsabile della ricerca citata – non solo mettono in peri­colo la salute di oggi, ma rischia­no di rendere i parassiti resisten­ti ai trattamenti antimalarici di domani » . Vi è poi il capitolo delle cure per l’HIV/ Aids e la tubercolosi. E a ta­le proposito si collega il fatto che sempre più case farmaceutiche svolgono le sperimentazioni dei loro farmaci nei Paesi in via di svi­luppo, dove le garanzie e le pro­cedure sono molto allentate, se non annullate. In febbraio una corte statunitense ha accolto il ri­corso di alcune famiglie nigeria­ne intenzionate a fare causa alla Pfizer, accusata della morte e del­le lesioni di decine di bambini re­clutati per un test durante l’epi­demia di meningite del 1996, che uccise dodicimila persone in sei mesi. L’antibiotico sperimentato su 200 piccoli nell’ospedale di Kano, il Trovan, fu somministrato senza il consenso dei genito­ri. Molti di questi bambini presentano tuttora ce­cità, defor­mazioni corporee e danni al cervello. Il colosso far­maceutico ha dichia­rato che i test furono effettuati con l’assenso del governo nigeriano e che le famiglie vennero preventi­vamente informate. Sperimentazioni del genere sem­brano essere sempre più fre­quenti, e se anche il paziente dà il suo consenso, secondo un dossier della rivista Popoli e Missioni, « le informazioni riguardo al farmaco sono sommarie, il controllo tera­peutico è insufficiente, e il bene­ficio per il paziente e per la popo­lazione è di solito scarso » . All’ultima conferenza internazio­nale sulla salute pubblica dei mi­nistri della Sanità africani (Camh), i trial clinici sulla popolazione a­fricana da parte di aziende occi­dentali sono stati definiti l’enne­sima «manovra spregiudicata del­l’imperialismo » . Le case fanno pressione sui governi affinché dia­no il via libera alle sperimenta­zioni sui loro cittadini. E non so­no rari i casi di corruzione dei re­sponsabili medici e politici.
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