mercoledì 8 dicembre 2021
Dopo il ritorno di damasco nell'organizzazione delle polizie mondiali, molti sono preoccupati del fatto che verrà intensificata la caccia dei dissidenti fuggiti all'estero
Bashar al-Assad in visita a Duma

Bashar al-Assad in visita a Duma - Ansa

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Abdul, nome di fantasia per tutelare l’anonimato di un giovane siriano di 32 anni, ha trascorso dieci anni nelle prigioni del suo Paese. Era un operatore umanitario, quando nel 2011 viene prelevato con la forza vicino alla città di Hama e trasferito in una prigione dei mukhabarat (il servizio segreto) dell’aeronautica militare siriana nel vecchio aeroporto di Mazzah a Damasco. «Ero stato condannato all’ergastolo solo per aver partecipato alle manifestazioni e rivendicato in tribunale il mio diritto alla difesa – racconta da una località segreta in Turchia, dove si è rifugiato dopo la sua recente scarcerazione –. Sono stato trasferito al punto di identificazione per l’interrogatorio e lì iniziano le torture: immobilizzato mani e piedi, mi hanno appeso a un gancio sul tetto attaccandomi pure degli elettrodi ai genitali.

E quando nel 2012 la Lega Araba istituì la Commissione d’inchiesta, quelli che come me avevano segni evidenti delle violenze – prosegue, mentre ci mostra le cicatrici sul suo corpo – furono portati per sei giorni altrove, rimanendo bendati all’interno del mezzo, per essere poi riportati indietro la sera».

In questi giorni si moltiplicano le voci di chi si dice preoccupato per la revoca da parte dell’Interpol delle misure correttive applicate alla Siria nel 2012. Oltre sessanta associazioni per i diritti umani, giuristi, parlamentari europei e oppositori del regime di Bashar al-Assad, temono per le ripercussioni che una tale decisione possa avere sulla sicurezza e la libertà di chi è stato costretto a lasciare il Paese a causa della guerra e della repressione.

«Anche se il principio di base adottato dall’Interpol si fonda sulla neutralità politica per non danneggiare i ricercati per motivi politici – scrivono in una nota congiunta le associazioni, fra cui anche Families for freedom – il governo siriano di Bashar al-Assad – e i suoi servizi di sicurezza e giudiziari hanno la capacità di aggirare questo divieto non riconoscendo come tali oppositori politici, attivisti civili e giornalisti. Dall’inizio della rivolta popolare in Siria, hanno classificato tutti loro e i volontari del soccorso umanitario e medico, come terroristi e criminali». E il timore è che ora la caccia si estenda all’estero.

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