sabato 18 luglio 2015
Gruppi armati usano l'approvvigionamento idrico come arma di ricatto. Un testimone: solo le parrocchie tengono viva la speranza.
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Dopo tre settimane di blackout, nella città martire di Aleppo è tornata l'acqua potabile. Lo hanno riferito gli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo vicino all'opposizione con sede a Londra. Nella seconda città siriana, sfiancata da oltre quattro anni di guerra civile, la fornitura era stata interrotta alla fine di giugno, quando i miliziani del Fronte al-Nusra, gruppo che rappresenta al-Qaeda in Siria, bloccarono il servizio ai quartieri in mano al regime, chiudendo la stazione di pompaggio e costringendo i residenti a bere acqua di pozzo non trattata o a ricorrere ad altri rifornimenti di emergenza. Ora l'acqua potabile è di nuovo disponibile nella maggior parte deii quartieri. Secondo l'Osservatorio, nelle scorse ore il regime ha accettato la proposta del gestore della stazione di pompaggio, legato ad al-Nusra, che chiedeva alle autorità governative di ripristinare la fornitura di energia elettrica in alcune parti di Aleppo in cambio della riattivazione dell'impianto idrico. La popolazione era prostrata dal lungo periodo di carenza d'acqua, resa ancora più pericolosa dal caldo asfissiante di questi giorni. Una testimonianza, raccolta dall'Agenzia Fides, riferisce di uomini, donne e bambini che si aggiravano tutto il giorno per le strade con latte di plastica e bottiglie, alla continua ricerca di un po' d'acqua da bere. Ecco il racconto del siro-cattolico damasceno Samaan Daoud, ex guida turistica, da tempo coinvolto nei programmi sociali e assistenziali curati dalle comunità cristiane siriane, a partire da quelli avviati dalla Società salesiana di San Giovanni Bosco: “Le chiese distribuiscono senza interruzione l'acqua potabile estratta dai propri pozzi, ma la richiesta è altissima e non si riesce a soddisfarla”. “Aleppo è una città ricca di risorse idriche - spiega Samaan - ma i gruppi armati che controllano le pompe idriche chiudono i rubinetti per fare pressione sulla città. Non si sa quali trattative stanno tentando di imporre al governo di Damasco, e usano l'approvvigionamento idrico come strumento di ricatto. Quelli che pagano il prezzo più alto sono i civili, che non c'entrano niente”. Sul terreno delle operazioni militari, gli sviluppi più recenti confermano che per Aleppo la soluzione può essere trovata solo a livello internazionale. “La città è molto vicina al confine con la Turchia - ricorda Samaan - e i ribelli non hanno problemi a ricevere appoggi logistici, armi e ogni tipo di aiuto da quella parte. A livello locale, si possono trovare solo soluzioni provvisorie fondate su equilibri precari”. Nella metropoli assetata e sfigurata dalla guerra – racconta a Fides Samaan Daoud – le chiese cristiane non ancora distrutte dalle bombe continuano a tener viva la speranza 'contro ogni speranza'. “Alla parrocchia dei Francescani si incontrano ogni giorno più di 150 giovani - riferisce Saaman - e anche l'oratorio dei Salesiani organizza attività estive per 500 ragazzi e ragazze. Lì si prova a custodire nei ragazzi anche la memoria di Aleppo com'era prima: una città vitale, allegra, con tante possibilità di incontro. Se vai in queste parrocchie, ancora trovi una luce di speranza. Sono come i fari quando illuminano le notti di tempesta, e riaccendono la speranza per i naviganti che si erano perduti in un mare buio e ostile”.
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