mercoledì 15 aprile 2020
L’eroica testimonianza del sindacalista a soli 10 anni e la sua lotta per l’emancipazione umana di bambini strumenti-schiavi della produzione
Il 16 aprile la Giornata anti sfruttamento in ricordo del ragazzo Iqbal Masih

Il 16 aprile la Giornata anti sfruttamento in ricordo del ragazzo Iqbal Masih - Wikimedia Commons

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Caro direttore, nel giorno di Pasqua del 1995, il 16 aprile, veniva ucciso in Pakistan Iqbal Masih, di soli 12 anni. Già era diventato testimone-simbolo mondiale della lotta contro lo sfruttamento schiavistico di centinaia di milioni di bambini soltanto in Asia. La sua uccisione lo ha trasformato in martire: sia per il suo impegno sociale a favore dei bambini dall’“infanzia negata” e contro sfruttamento dei lavoratori; sia per la sua fede cristiana. Sicuramente questa sua fede – legata all’educazione familiare, professata in situazione di emarginazione socio-religiosa (la comunità cristiana è soprattutto composta da persone delle “caste inferiori”, dal lavoro più umile) – ha alimentato e sorretto la sua indignazione contro le ingiustizie e l’eroica lotta per l’emancipazione umana di bambini strumenti-schiavi della produzione; probabilmente la sua testimonianza cristiana è stato una concausa delle dinamiche che favorirono l’assassinio.

In quel giorno di Pasqua di 25 anni fa – dopo la Messa e con il Vangelo in mano, si tramanda –, Iqbal fu strappato dalla terra, per risorgere nella memoria di tanti di noi, rigenerando il messaggio universale di liberazione umana. La sua condizione di vita sfruttata – a partire dai 4 anni in una fabbrica di mattoni, per proseguire in una di tappeti, venduto dalla famiglia indigente – si era trasformata a 10 anni in denuncia e in testimonianza, smuovendo l’opinione pubblica internazionale e favorendo nel “suo” Pakistan (ma non solo) alcuni provvedimenti politici di limitazione delle pesanti condizioni di lavoro schiavistico, a danno soprattutto di bambini, secondo una prassi secolare perpetrata da proprietari di laboratori tessili di tappeti e di altri settori di lavoro ancor più duro. Il risentimento nei suoi confronti, probabilmente, è stato accentuato dal clima di intolleranza religiosa prevalente in Pakistan (soprattutto con la creazione di un doppio sistema legale, di cui uno basato sulla sharia, dal 1991) verso la minoranza cristiana, presente in particolare nella regione del Punjab e purtroppo perdurante anche in questo XXI secolo, con il rigurgito di fondamentalismi, risposta perversa anche all’ingerenza politica e militare perpetrata dall’Occidente in diverse regioni. Il suo martirio si inquadra all’interno di tale contesto; per questo Iqbal Masih va riproposto come testimone di giustizia, di solidarietà, di costruzione di una comunità fraterna, di attuazione del messaggio evangelico all’interno della sua nazione, dalle perduranti drammatiche criticità sociali: miseria e sfruttamento, mancanza di diritti elementari all’istruzione e alla sanità, conflitti etnici, intolleranza religiosa a danno della minoranza cristiana – ri-esplosa nella persecuzione di Asia Bibi, per fortuna sottratta alla pena di morte, grazie all’impegno internazionale – compresa la lunghissima campagna informativa di Avvenire – oltre che alla resipiscenza della giustizia del Pakistan.

Per tali motivi, in occasione dei venticinque anni del martirio di Iqbal Masih, è commovente e mobilitante che papa Francesco, in una lettera ai Movimenti popolari di tutto il mondo, abbia sollecitato un salario universale minimo per tutti coloro che si ritrovano confinati e sfruttati nelle infinite zone grigie e nere del lavoro a livello planetario. È importante riproporre, nel quadro di tale impegno, anche il forte e ricco ricordo di questo giovanissimo lavoratore assetato di bene e di equità, vivificando il suo messaggio: un’onda lunga figlia di una vita breve, ma senza tempo. Monito e modello insieme per un cammino di giustizia sociale, da Masih testimoniato in modo coraggioso, consapevole e insieme spontaneo e “ingenuo”. Ad appena dodici anni egli ha compiuto il “miracolo” di aver trasformato, con il messaggio incarnato nella sua vita, leggi e pratiche ataviche, cause del male sociale dello sfruttamento schiavistico minorile, liberando, almeno in parte, milioni di bambini da una condizione di miseria umana e materiale. Una missione di testimonianza del Vangelo, riproposto anche da lui quale strumento di conversione e di liberazione umana. Il ricordo di Masih in questo tempo di Pasqua può rappresentare anche un percorso di dialogo tra fedi e culture in quella nazione e civiltà antica, nobile, ma anche lacerata; oltre che riconoscimento per l’eroicità della fede professata dai cristiani in quella regione.

Giovanni Seclì

Forum Ambiente Salute​



Chi era Iqbal Masih

Nato a Muridke, nel Punjab, da cristiani poverissimi, Iqbal Masih già a 4 anni lavorava in una fornace di mattoni. L’anno successivo fu venduto al proprietario di una fabbrica di tappeti per saldare un debito della famiglia. Circa 150 euro il prezzo del riscatto per Iqbal, una cifra che significava schiavitù: 12 ore al giorno a tessere tappeti per una rupia al giorno mentre gli interessi del debito continuavano a crescere. Quando nel 1992, a soli 10 anni, partecipò a una manifestazione del Bonded Labour Liberation Front (BLLF), capì che la sua vita poteva cambiare. Tornato in fabbrica si rifiutò di lavorare a quelle condizioni: le percosse non lo fecero cedere mentre in Pakistan veniva approvato il Bonded Labour System Abolition Act. Nel 1993, in seguito alle minacce, fu costretto con la sua famiglia ad abbandonare il suo villaggio e a vivere per qualche tempo in un ostello del BLLF, di cui divenne il testimonial in Pakistan e nel mondo. Era la sera del 16 aprile del 1995 quando con un bus raggiunse Lahore. Controverse le testimonianze sulle sue ultime ore di vita del ragazzo di appena 12 anni. Di certo qualcuno sparò a Iqbal Masih: l’assassinio non è mai stato trovato, ma tutti pensarono alla “mafia dei tappeti”. (L.Ger.)

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