domenica 12 aprile 2020
Francesco vicino agli esclusi della globalizzazione: forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale
Un giovane lustrascarpe in Bolivia

Un giovane lustrascarpe in Bolivia - Ansa

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«Voi siete per me dei veri “poeti sociali”, che dalle periferie dimenticate creano soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi». Nel giorno di una Pasqua inedita, in cui i cristiani vivono la gioia della Resurrezione nel pieno di una pandemia terribile, papa Francesco ha voluto rivolgere un pensiero “ai fratelli e alle sorelle dei movimenti e delle organizzazioni popolari”, incontrati, negli scorsi anni, in tre occasioni: la prima e la terza riunione in Vaticano, la seconda a Santa Cruz de la Sierra, durante il pellegrinaggio boliviano del Pontefice. Ogni volta, le riunioni affollate all’inverosimile di riciclatori di rifiuti, venditori ambulanti, lustrascarpe, contadini senza terra, hanno suscitato i mal di pancia di taluni benpensanti. Il Pontefice ne è pienamente consapevole. «Siete guardati con diffidenza perché andate al di là della mera filantropia mediante l'organizzazione comunitaria o perché rivendicate i vostri diritti invece di rassegnarvi ad aspettare di raccogliere qualche briciola caduta dalla tavola di chi detiene il potere economico», scrive con acutezza nella lettera appena diffusa (IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA).

Papa Bergoglio ha constatato di persona, nella sua esperienza umana e pastorale, che i movimenti e le organizzazioni popolari non rispondono a un’ideologia, non sono mossi da «teorizzazione astratta o dall’indignazione elegante», come aveva affermato a Santa Cruz il 9 luglio 2015. «Avete i piedi nel fango e le mani nella carne», aveva detto loro a Roma, il 28 ottobre dell’anno precedente.

Con le armi della solidarietà, della speranza, del senso di comunità

Per questo, in mezzo a un’emergenza sanitaria globale, Francesco sceglie di stare vicino a questo «esercito invisibile che combatte nelle trincee più pericolose», scrive impiegando una metafora bellica per descrivere il Covid ma sovvertendone nel profondo il significato, poiché è «un esercito che non ha altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità che rifioriscono in questi giorni in cui nessuno si salva da solo».

Se la pandemia colpisce l’intera famiglia umana, senza distinzioni di frontiere, nazionalità, appartenenze religiose o sociali, sui poveri, gli ultimi, gli scartati si accanisce con particolare ferocia. «Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento... e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti». Bergoglio tocca qui un punto cruciale, in parte accennato nel messaggio Urbi et orbi odierno nel ricordare i tanti per cui la quarantena forzata è «tempo di preoccupazione per l’avvenire che si presenta incerto, per il lavoro che si rischia di perdere». Un dramma che accomuna, ancora una volta Nord e Sud del mondo. In quest’ultimo, però, è l’economia informale a far sopravvivere la gran parte della popolazione. Due miliardi di persone, secondo Organizzazione internazionale del lavoro, producono e, dunque, sopravvivono alla giornata, senza garanzie in caso di malattia, infortunio, vecchiaia o sospensione dell’attività per ragioni sanitarie, come nell’attualità. Un terzo, quasi 800 milioni, sono donne, le stesse che – ha detto Francesco - «moltiplicano il cibo nelle mense popolari cucinando con due cipolle e un pacchetto di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini». Storie invisibili di eroismo in cui ci si imbatte ogni giorno nei quartieri popolari o baraccopoli o slum del pianeta.

E’ in virtù di questa saggezza concreta – la creatività coraggiosa di chi trasforma crisi e privazioni in promessa di vita per famiglie e comunità – che il Papa chiede ai movimenti e alle organizzazioni popolari di pensare al dopo. Al post-coronavirus. Al tempo della rinascita possibile dopo l’immobilità del sepolcro. Francesco propone di immaginare insieme uno verso sviluppo umano integrale, fondato «sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull'accesso universale a quelle tre T per cui lottate: “tierra, techo y trabajo (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro)». In questo senso, come sottolinea lo storico Gianni La Bella in “Terra, casa e lavoro” (Ponte delle Grazie), il Pontefice aggiorna e approfondisce l’opzione preferenziale per i poveri, «affermando che questa non implica solo solidarizzare con loro, ma riconoscerli come soggetto sociale e politico, promuovendo la loro partecipazione attiva in tutti gli ambiti, accompagnandoli sempre, partendo dalla loro stessa realtà e mai da schemi ideologici astratti».

Poiché, aveva già detto Francesco in Bolivia, «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento».

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