domenica 17 luglio 2022
L’incubo della fame per milioni di persone Mentre ribolle la protesta, in Zimbabwe l’inflazione è al 190% I contadini in Kenya: «Sogniamo un pasto al giorno»
Nawoi, nel villaggio keniano di Nasuroi, ha visto morire di fame il marito e i figli Nella zona è attiva la Fondazione Cesvi con progetti per la sicurezza alimentare Nel Corno d’Africa sono 20 milioni le persone a rischio

Nawoi, nel villaggio keniano di Nasuroi, ha visto morire di fame il marito e i figli Nella zona è attiva la Fondazione Cesvi con progetti per la sicurezza alimentare Nel Corno d’Africa sono 20 milioni le persone a rischio - .

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Come ve lo immaginate un Paese in cui un insegnante, con il suo stipendio mensile, può permettersi di acquistare al massimo 12 litri e mezzo di benzina? Oppure, in un altro caso, uno Stato che dall’inizio della guerra in Ucraina ha raggiunto un’inflazione del +190%? E, ancora, un Paese in cui un milione di bambini già soffrono di malnutrizione acuta mentre nella stessa regione 1,5 milioni di capi di bestiame muoiono per la siccità? Sud Sudan, Zimbabwe, Kenya, tre casi emblematici di un continente in cui gli impatti della pandemia, del cambiamento climatico e del guerra in Ucraina si sommano l’uno all’altro, facendo aumentare a dismisura l’insicurezza alimentare.

È in queste periferie del mondo, lontano dai campi di battaglia del Donbass, che si registrano gli aumenti dei prezzi più significativi, qui che la guerra va a intersecarsi con debolezze interne già strutturali. Ayefe Ohidi ha 31 anni e insegna qui a Juba, capitale di un Sud Sudan che esce da anni di conflitto interno e al quale l’Onu ha appena tagliato gli aiuti alimentari, conseguenza vistosa dell’assenza del grano ucraino sui mercati internazionali. Grazie al sostegno dell’Ong italiana Avsi, Ayefe ha potuto studiare al St. Mary College, uno dei pochi istituti privati in cui vengono formati gli insegnanti. «Una volta laureato, però, ho trovato solo un lavoro part time in una scuola primaria. Stipendio: meno di 10mila sterline sud sudanesi al mese, l’equivalente di 20 euro». Con il quale, ai prezzi attuali, potrebbe permettersi 12 litri e mezzo di carburante, sempre se avesse un’auto. «Il governo dovrebbe investire di più su noi insegnanti, sulla formazione e sul salario – spiega Ayefe, che ha un bambino e una moglie infermiera – . Già prima la vita era difficile, ora rischiamo di non farcela più».

Più a sud, il tasso d’inflazione record spetta allo Zimbabwe, con quel +190% da gennaio che mette a rischio oltre metà della popolazione, 8 milioni di persone. La siccità ha lasciato ai contadini un’annata da dimenticare e l’aumento dei prezzi degli ultimi mesi ha fatto il resto. «È una stagione da fame – sintetizza Lindiwe Ncube, contadina 49enne del villaggio Alfalfa, vicino alla città di Bulawayo –. Le pannocchie di mais sono rimaste piccole e sono riuscita a racimolarne appena quattro sacchi. Non potrò vendere nulla». Anche l’utilizzo di tecniche migliori, come l’irrigazione a goccia, non sono bastate. Secondo il governo di Harare, la produzione di mais quest’anno crollerà del 43%.

Lo Stato ha ordinato ai contadini di vendere i loro raccolti agli enti pubblici per rifornire gli stock nazionali, ma molti si rifiutano a causa dei prezzi troppo bassi. «Quest’anno i miei figli rischiano di essere rifiutati dalla scuola, perché non ho potuto pagare le loro tasse. Dovrò sperare di trovare qualche altro lavoro per guadagnarmi qualcosa», sottolinea Ncube. Situazioni che rischiano di avere conseguenze anche sulla tenuta interna di molti Stati africani: lo si è già visto in Ghana a fine giugno, con decine di arresti seguiti alle manifestazioni contro il caro-vita (+27% a maggio) in uno dei Paesi normalmente più stabili del continente. In Kenya gli aumenti sono già al centro della campagna elettorale per le presidenziali di agosto.

«È per colpa della carestia e della fame che non ho più un marito né dei figli. Sogno il momento in cui avrò anche solo un pasto certo al giorno», sussurra Nawoi, nel villaggio di Nasuroi, dove la Fondazione Cesvi è attiva con progetti di sviluppo agricolo a favore della popolazione locale. Nell’intero Corno d’Africa in 20 milioni sono a rischio fame: un quinto proprio in Kenya, compreso un milione di bambini. «Dallo scorso anno, abbiamo avuto pochissime piogge. Gli uomini e il bestiame non sono ancora tornati, non c’è niente per noi in questo momento» racconta Josephine Muli, madre di nove bambini, accolta al centro nutrizionale di Ngaremara, gestito da Cesvi, dove il suo ultimo figlio, gravemente malnutrito, riceve le cure dei medici. Dalla siccità alle conseguenze della guerra in Ucraina, con l’interruzione delle importazioni di grano, mais (utile per l’alimentazione animale), oli alimentari, carburante. Soffre l’intera regione e anche oltre. In Centrafrica, denunciano i vescovi locali, «la carenza di carburante, che il Paese già sopporta con grande difficoltà, provoca un vertiginoso aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei beni di prima necessità le cui scorte diminuiscono».

E ancora: «La vita sociale oggi funziona al ritmo della capacità di approvvigionamento, con le lunghe code di veicoli talvolta accompagnata da deplorevoli scene di violenza. Nei nostri ospedali è da temere un aumento dei decessi e la mancanza di pronto soccorso e assistenza ai malati ». Secondo l’Onu, 2,2 milioni di persone (su 5,5 milioni di abitanti) soffrono di insicurezza alimentare acuta e la loro situazione peggiorerà nei prossimi mesi. Le previsioni di crescita sono del 30% per il prezzo del riso, del 67% per la farina di grano e del 70% per l’olio vegetale. L’impressione, a dirla tutta, è che quello a cui abbiamo assistito finora sia solo l’inizio di una drammatica crisi a lunghissimo termine.

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