venerdì 11 dicembre 2009
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Era luglio, nel 1957, quando cominciò il primo anno geofisico internazionale. In Antartide, fu un viavai di ricercatori civili e militari: diecimila uomini di 12 nazioni diverse, che già possedevano basi o ne installarono di nuove. Si potevano riconoscere gli onnipresenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Francia, Gran Bretagna, Urss e Stati Uniti), le bandiere di alcuni Paesi geograficamente orbitanti intorno al circolo polare antartico (Australia, Nuova Zelanda, Argentina e Cile) e di tre nordeuropei (Belgio, Norvegia e Svezia). Alcuni coltivavano ambizioni vetero-colonialiste, altri avanzavano pseudo-diritti di sovranità territoriale. Comuni a tutti erano gli interessi economici, spesso celati dall’avventurismo scientifico.Urgeva un baluardo alle bramosie particolari e l’anno geofisico diede lo spunto. I governi dei 12 si ritrovarono a Washington, il 1° dicembre del 1959. Negoziarono un accordo in 14 punti che, mediando fra i contrasti, annovera oggi 47 membri. Una megaconferenza allo Smithsonian Institute ne ha appena celebrato il mezzo secolo di vita, fra il disinteresse dei più. Eppure il "sistema del Trattato antartico" è un omaggio alla libertà di ricerca scientifica e all’antimilitarismo, almeno sulla carta. Le distese di ghiacci sono aperte a tutti gli studiosi, purché animati da spirito irenico. Tutto il resto è precluso, perché i contraenti hanno neutralizzato le terre, i mari limitrofi e le rivendicazioni dei 7: Argentina, Cile, Australia, Nuova Zelanda, Francia, Gran Bretagna e Norvegia, ognuno dei quali vagheggerebbe per sé uno o più spicchi triangolari che, muovendo dal 60° parallelo, ipotecano il 75% del Continente, talvolta sovrapponendosi. Quando gli Stati Uniti hanno preso il Polo Sud (1957), hanno ribadito che, controllando il vertice, possono mettere in scacco lati e superfici dei triangoli. Non meno dinamici son stati i russi, pronti a puntellare gli spazi avocati da altri. Parliamo di scienze, più strategiche che fisiche. La direttiva del presidente Jimmy Carter (1978) è sopravvissuta al crollo del muro di Berlino. Impone al Paese un minimo di 4 basi antartiche, da presidiare continuativamente, a prescindere dall’effettività delle ricerche. Tra picco di Hubbert e tensioni sui prezzi delle materie prime, molti ritengono ineluttabile lo sfruttamento commerciale delle risorse polari. Francesi e altri ne dibattono da tempo, in Parlamento e altrove. Il trattato del ’59 è intenzionalmente anodino o, meglio, non spende una parola sul tema. Ardue le trattative per una convenzione ad hoc: quella firmata a Wellington nell’88 non è mai entrata in vigore per carenza di ratifiche e, quanto avvenuto nel comparto ittico, è paradigmatico dei rischi venturi. La pesca è stata talmente intensiva da aver fagocitato intere specie. È scomparso un cetaceo su sei. Le foche da pelliccia si sono estinte nel 1920 e le balenottere franche australi nell’86. Nonostante lo scempio, gli appetiti son cresciuti, stimolati da una pletora di risorse naturali che s’è impinguata di anno in anno. Acqua, oro, uranio, rame, ferro, carbone, nichel, piombo e petrolio potrebbero trasformare l’Antartide nel nuovo Eldorado, terra di conquista per multinazionali senza scrupoli. La gara è al momento rimandata. Qualora la situazione economica del 2041 spingesse a tenerla, l’Italia sarebbe una delle pochissime nazioni capaci di tecniche estrattive filo-ambientali.Zone economiche esclusive sono già spuntate intorno agli isolotti dei 7, la cui politica regionale è più economico-strategica che scientifica. L’Australia brama il 44% del Continente, la Gran Bretagna un milione circa di kmq, fondali compresi. Ma cileni e argentini si oppongono. Coltivano un aperto sciovinismo antartico e ne nutrono i più piccoli fin dai banchi di scuola. Inutile dire che la scuola sudamericana di geopolitica antartica guarda con estremo interesse allo spostamento del potere mondiale dall’Atlantico settentrionale al Pacifico meridionale. Sentiremo parlare sempre più spesso degli stretti di Magellano e di Drake, di Capo Horn e del Canale di Beagle, così come della Penisola antartica, protesa verso la Terra del Fuoco e presto lambita da flussi mercantili crescenti. Nel frattempo, la marina cilena ha riattivato la base Arturo Prat, l’esercito la Bernardo O’Higgins e l’aviazione la Tenente Marsh, principale delle tre. La marina brasiliana è impegnata in un gigantesco programma navale e non tarderà a imperare nei mari del sud; quella argentina ha perso solo la prima battaglia delle Malvinas. Il contenzioso insulare con la Gran Bretagna è in buona parte riconducibile al primato sullo stretto di Drake, che comanda il passaggio dall’Atlantico al Pacifico. É uno snodo cruciale, se solo si pensi ai sottomarini nucleari sovietici che v’incrociavano copiosi durante la Guerra fredda. «I continenti non sono che immense isole», amava dire l’ammiraglio Sergei Gorshkov.
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