martedì 18 aprile 2017
Un vescovo fedele al Papa ha potuto di nuovo celebrare pubblicamente
Segnali di Pasqua dalla Cina. Il futuro comincia a farsi largo
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Un vescovo fedele al Papa ha potuto di nuovo celebrare pubblicamente ors et Vita duello conflixere mirando. MMorte e Vita si sono affrontate in un duello straordinario: il Signore della vita era morto, ora regna vivo. Così canta un inno della notte di Pasqua. Anche quest’anno, tanti cattolici cinesi hanno celebrato la Resurrezione del Signore e molti catecumeni hanno ricevuto il battesimo. Per la prima volta dal 2012, il vescovo ausiliare di Shanghai, Taddeo Ma Daqin, ha potuto celebrare pubblicamente la Pasqua. Anche questi sono segni di Resurrezione. Ma il Risorto mostra ancora nel corpo i segni della morte.

Ma Daqin non ha potuto celebrare nella sua diocesi, ma a Mindong, insieme al vescovo Zhan Silu, non riconosciuto da Roma. In Cina, molte cose si prestano a più interpretazioni. Negli ultimi mesi, l’attenzione si è concentrata su Mindong (Funing), una delle due diocesi divise tra un vescovo “ufficiale” non riconosciuto da Roma e un vescovo “sotterraneo” non riconosciuto dal governo. La presenza del secondo costituisce un grave ostacolo a un eventuale perdono del primo da parte del Papa. Qualche giorno fa, inoltre, il vescovo sotterraneo di Mindong, Guo Xijin, è “scomparso” e probabilmente obbligato a seguire un corso di “formazione”. Infine il vescovo “legittimo” Ma Daqin ha concelebrato con l’illegittimo Zhan Silu. Tutto ciò è stato letto come una pressione cinese per obbligare Roma a riconoscere tutti i vescovi ufficiali e ad accettare l’Associazione patriottica. A Shanghai, però, si dà una lettura diversa. Negli ultimi anni la S. Sede ha richiesto più volte che Ma Daqin esercitasse le funzioni di vescovo, impeditegli dopo la sua ordinazione, quando abbandonò clamorosamente l’Associazione patriottica.

Ma, dal punto di vista cinese, perché questa richiesta venisse accolta era necessario che Ma Daqin ritirasse l’«offesa» allora compiuta (è avvenuto nel giugno 2016), si riscrivesse all’Ap (settembre 2016), venisse inserito nel direttivo municipale di questa (dicembre 2016) e si riconciliasse con il vescovo Zhan Silu con cui non aveva voluto concelebrare nel 2012. Domenica, la diocesi di Mindong ha emanato un comunicato in cui si legge: «Il vescovo Zhan ha presentato ai fedeli il vescovo venuto da Shanghai, i fedeli allora hanno fatto un caloroso applauso». In questo modo, un vicepresidente della cosiddetta Conferenza dei vescovi – Zhan Silu riveste questa carica – ha riconosciuto a Ma Daqin quel titolo di vescovo che questa Conferenza gli aveva rifiutato nel 2012. Nel linguaggio della politica cinese, questi fatti non comunicano alla S. Sede un messaggio di rottura ma la prospettiva di una soluzione win win. Davanti a tutte le vicende della Chiesa in Cina c’è chi parla di vittoria o di sconfitta di una parte o dell’altra. Ma questo linguaggio non spiega una vicenda più profonda. Tenacemente difesa dagli uni e avversata dagli altri, l’Associazione patriottica è l’espressione più evidente di un passato che continua a pesare.

Ma non è intorno all’Ap che si gioca il futuro della Chiesa in Cina. Lo statuto di questa associazione contiene l’espressione «indipendenza» che ferisce la comunione della Chiesa universale; in molti casi l’Ap è stata strumento di un potere dei laici sui vescovi che sovverte le regole interne della Chiesa; e nel 2007, la Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI ha criticato esplicitamente l’Associazione patriottica per tutto questo. Ma negli ultimi dieci anni molte cose sono cambiate. Ci sono segni piccoli e grandi di questo cambiamento. Nei giorni scorsi è andato definitivamente in pensione Liu Bainian, figura molto controversa e grande regista dell’Associazione patriottica. Poche settimane fa, si è svolto da Nanchang un convegno senza precedenti sul tema dell’inculturazione in cui sacerdoti di molte diocesi hanno potuto discutere di problemi pastorali. E poi – è il cambiamento più importante – come ha scritto il cardinale Tong Hon, vescovo di Hong Kong, «il dialogo tra la Cina e ilVaticano [ha permesso] al Santo Padre un ruolo più decisivo nella nomina e ordinazione dei Vescovi cinesi». Cambia così, nei fatti, anche il significato di «indipendenza ».

La guerra delle parole, insomma, lascia sempre più spazio ai cambiamenti della storia. Non è l’Associazione il principale problema per la Chiesa cattolica oggi in Cina. Insistendo su questo problema, sia da una parte sia dall’altra, ci si schiera con il passato. L’unica vittoria che conta davvero è invece quella del futuro di Dio che seppure faticosamente si sta facendo strada nel passato costruito dagli uomini.

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