sabato 3 giugno 2023
Sfatata l’intangibilità della capitale russa, dopo che i droni partiti da chissà dove hanno raggiunto la cinta periferica di Mosca. Provocando danni piscologici
Vladimir Punti evita sempre più gli incontri di persona

Vladimir Punti evita sempre più gli incontri di persona - Reuters

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«Non sottovalutiamoli. Sembrano punture di zanzara, ma l’effetto è assai subdolo». Così trapela da uno sciame di commenti sul canale Rybar di Telegram (notoriamente legato ai servizi e ai vertici militari russi) il fastidio che si tramuta rapidamente in allarme. Il timore condiviso cioè che l’invulnerabilità, l’intangibilità della capitale russa siano ormai una leggenda sfatata, dopo che i droni partiti da chissà dove hanno raggiunto la cinta periferica della città provocando danni. Danni piscologici, prima che effettivi. Danni che si riverberano sul cerchio magico di Vladimir Putin; su quella corte che lo attornia, lo sostiene e che al tempo stesso gli è saldamente legata. Fino a quando – e questo la storia di tutte le satrapie lo insegna – il cerchio magico smetterà di sentirsi al sicuro. La memoria corre a quel 28 maggio del 1987, quando alle 14,29 i radar sovietici rilevarono una sagoma sconosciuta, inizialmente scambiata per uno stormo di uccelli e solo una ventina di minuti dopo seguita da due caccia. Si trattava di un piccolo aereo, un monomotore Cessna 172 che si era infilato nel corridoio aereo Helsinki-Mosca.

Il pilota si chiamava Mathias Rust, ragazzo tedesco neanche ventenne, intenzionato a raggiungere la capitale dell’Urss. I caccia si astennero dal colpire il velivolo: la tragedia del Boeing 747 della Korean Airlines abbattuto quattro anni prima sulla verticale dell’isola di Sachalin era ancora troppo fresca. Mathias Rust peraltro godette di inaspettata fortuna: il sistema di avvistamento dell’aeroporto moscovita di Šeremet’evo al momento del suo passaggio era in manutenzione. Nessuno lo vide. In compenso lui vide bene il Cremlino e la Piazza Rossa. E lì atterrò, fra il divertito sbigottimento della città. Caddero così il ministro della Difesa Sokolov e quello della difesa aerea Koldunov, ma soprattutto fu azzerato da Gorbaciov l’intero vertice delle forze armate. Oggi a Mosca si sorride un po’ meno. Perché al posto del bizzarro Mathias Rust volteggiano i droni del “Comandante Caesar” (alter ego ucraino di Prigozhin) e i vertici militari – segnatamente il ministro della Difesa Sergeij Shoigu e il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov – sono oggetto di pesanti contestazioni. A cominciare dal capo della Wagner. Gli effetti già si vedono. Benché fino ad ora Putin abbia minimizzato se non ignorato l’attacco dei droni alla capitale, il Cremlino ha ufficialmente commissionato la costruzione di un nuovo rifugio antiaereo per alti funzionari statali e la nomenklatura: un bunker a prova di bomba, assicurano, compreso di ospedale e di sistemi anti intercettazione. Meno sicura – a quanto si apprende – comincia invece ad essere la tenuta di Putin stesso.

Pochi giorni fa sul canale russo Ntv per la prima volta il politico dell’opposizione Boris Nadezhdin – già fortemente critico nei confronti dell’«operazione speciale» in Ucraina – ha sollecitato apertamente un cambio al vertice in occasione delle elezioni presidenziali del 2024. Non è l’unico che ci sta pensando. Una fronda, neanche troppo sotto traccia nella ristretta pattuglia dei ricchi oligarchi di cui si circonda, esiste da tempo, come esisteva all’epoca di Gorbaciov. Ma tutti attendono il momento più propizio.

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