venerdì 13 dicembre 2019
Gli indipendentisti di Edimburgo puntano a un nuovo referendum per dire addio a Londra: si rischia uno scenario catalano. In Ulster i nazionalisti puntano alla riunificazione delle due Irlande
La leader degli indipendentisti scozzesi dello Snp Nicola Sturgeon (Ansa)

La leader degli indipendentisti scozzesi dello Snp Nicola Sturgeon (Ansa)

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Cinque anni fa festeggiarono troppo presto. Quella notte, memorabile per chi c’era, davanti al Parlamento di Holyrood, sul Royal Mile di Edimburgo, la birra scorreva a fiumi e il Saltire, la bandiera scozzese, copriva finestre e monumenti. L’indomani, dopo lo spoglio, la fine delle illusioni: il 55% degli elettori aveva detto no all’indipendenza da Londra. Un film che però, dopo il voto di giovedì e una Gran Bretagna lanciata a tutta corsa verso la Brexit, potrebbe cambiare finale, dando il la ad analoghe scosse anche in Nord Irlanda capaci di portare alla disgregazione del Regno Unito.

Per gli indipendentisti dello Scottish National party (Snp) l’affermazione di Boris Johnson vuol dire una cosa sola: un nuovo referendum. «In una Scozia indipendente – ha sottolineato la leader Nicola Sturgeon – avremo la possibilità di votare sempre per un governo nostro. Avremo il pieno controllo dei poteri e delle leve necessarie a costruire un Paese più prospero e giusto. Il popolo scozzese ha parlato, è tempo che decida il proprio futuro». Sono 48 i seggi conquistati dallo Snp, 13 in più rispetto al 2017, con i conservatori ridotti ai minimi termini oltre il vallo di Adriano. È questa la vera terra del Remain, quella che avrebbe voluto restare dentro all’Unione Europea, ai suoi preziosi contributi e al suo mercato. Con la Brexit, secondo il partito che domina ad Edimburgo, restare aggrappati alla Gran Bretagna non ha più senso. Ma Johnson è contrario a concedere un referendum con la prospettiva concreta di perderlo. Il rischio, dunque, è che si vada verso uno scenario «catalano», con un voto illegale e una contesa lunga e lacerante.

Una spinta centrifuga che, pur in un contesto e con motivazioni diverse, potrebbe coinvolgere anche l’Irlanda del Nord, dove gli indipendentisti dello Sinn Féin, guidati da Mary Louise McDonald, spingono sull’acceleratore dell’unità irlandese. Cogliendo l’occasione della Brexit e del malcontento di parte della popolazione per i termini dell’accordo firmato da Londra per l’uscita dall’Ue, il partito repubblicano attivo nelle due Irlande chiede infatti al governo di Belfast una road map e un voto sull’indipendenza entro 5 anni. «Un referendum sull’unità avverrà, come indicato nell’accordo del Venerdì Santo. Non si tratta di se, ma di quando» ha dichiarato McDonald.

I partiti nazionalisti nordirlandesi anti-Brexit tra l’altro hanno conquistato, per la prima volta, più seggi di quelli unionisti a Westminster. Gli unionisti del Dup, infatti, hanno perso due dei dieci deputati alla Camera dei Comuni, mentre il Sinn Féin, braccio politico di quello che era l’Ira, li ha mantenuti tutti e sette, sebbene non li occupi perché si rifiuta di giurare lealtà alla Corona. Altri tre seggi sono andati ai nazionalisti moderati del partito Socialdemocratico e laburista e alla multi confessionale Alleanza. Lo scenario, insomma, è cambiato davvero anche qui.

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