giovedì 30 settembre 2021
Assassinato in un campo profughi un leader della minoranza del Myanmar. In migliaia ai funerali di Mohib Ullah, colpito da un commando di cinque uomini
La salma di Mohib UllahI portata a mano durante la cerimonia funebre nel campo di Kutupalang a Cox's Bazar in Bangladesh

La salma di Mohib UllahI portata a mano durante la cerimonia funebre nel campo di Kutupalang a Cox's Bazar in Bangladesh - Reuters

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Colpito da almeno tre proiettili proiettili sparati da un commando di quattro o cinque assalitori al momento ignoti è morto la sera di mercoledì il più noto tra i leader dei campi profughi che in Bangladesh ospitano 900mila Rohingya fuggiti dalla persecuzione in Myanmar. E ieri in migliaia gli hanno detto addio. Al momento dell’agguato Mohib Ullah aveva appena terminato al preghiera serale islamica e stava parlando con alcuni altri responsabili dei campi del distretto di Cox’s Bazar, quello che più ospita profughi in fuga dal Paese confinante.
La polizia, a cui è affidata la sicurezza dei Rohingya nei 34 campi al confine birmano ha rafforzato la sua presenza ma finora degli assalitori si sono perse le tracce, mentre altri responsabili della comunità si sono nascosti per il timore di diventare a loro volta un bersaglio. Il ruolo di Mohib Ullah era di tutto rilievo, sia nell’organizzazione della vita nei campi, sia nell’individuare una prospettiva per i profughi Rohingya sia, infine, per portare davanti a un tribunale internazionale i responsabili di quelli che testimonianze e dati raccolti, indicano come genocidio e crimini di guerra. Una «voce» e una «memoria» dei disperati. «Non ci sarà mai un altro leader progressista come lui nei campi in Bangladesh», ha commentato l’artista Rohingya Mayyu Khan.

n migliaia al funerale di Mohib Ullah

n migliaia al funerale di Mohib Ullah - Ansa


A ricordarne la figura è stato anche, dal luogo dove si è rifugiato, Mohammad Nowkhim, portavoce dell’Arakan Rohingya Society for Peace and Human Rights di cui il 48enne Ullah era a capo nel campo di Katupalong, il più popoloso al mondo con i suoi 600mila rifugiati. Dopo avere fondato l’organizzazione a pochi mesi dal massiccio afflusso dei profughi con un intento anzitutto umanitario, il leader ucciso aveva iniziato un’azione accusatoria contro i militari birmani. Una leadership carismatica la sua, come ha mostrato il raduno di massa di 200mila Rohingya a Katupalong nell’agosto di due anni fa. Un personalità in grado di avere interlocutori internazionali, anche nel Dipartimento di Stato americano e in Donald Trump, che incontrò durante un viaggio negli Usa nel 2019. Negli ultimi due anni le opportunità commesse ai rapporti tra Bangladesh e Myanmar e le limitazioni imposte dalla pandemia avevano indotto Ullah a ridurre le attività pubbliche e a cancellare i raduni per ricordare le violenze e l’espulsione subite dai Rohingya.
Tra gli altri anche l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani ha segnalato il «profondo cordoglio» per la morte di Ullah che Matthew Smith, responsabile dello Ong Fortify Rights in Asia ha definito «una perdita devastante per chiunque conoscesse e amasse Mohib Ullah e una perdita tremenda per il Myanmar, il popolo Rohingya e il più ampio movimento per i diritti umani». Finora unico sospettato della sua uccisione – secondo il regime militare birmano – è l’Esercito per la salvezza dei Rohingya dell’Arakan, un gruppo estremista responsabile in Myanmar di azioni contro posti di polizia nello Stato di Arakan (Rakhine) che confina con il Bangladesh.

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