venerdì 22 agosto 2014
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Ma chi nutre questo nuovo male oscuro che sta annientando parti consistenti di Medio Oriente ed esercita un richiamo fatale su centinaia di jihadisti quiescenti in tutto il mondo? La diplomazia tedesca ha rotto gli indugi, facendo un nome: il piccolo e spregiudicato emirato del Qatar. «Storie come queste hanno sempre una storia. Chi finanzia queste truppe? Suggerimento: il Qatar», ha affermato il ministro per gli Aiuti allo sviluppo, Gerd Muller in una intervista all’emittente televisiva  Zdf.Impermeabile agli attacchi internazionali, anche in virtù di una lunga abitudine a essere nell’occhio del ciclone, Doha ha condannato duramente l’uccisione del giornalista statunitense James Foley, decapitato dagli estremisti dello Stato del Levante. Si è trattato di «un crimine ignobile», ha scritto il ministero degli Esteri del Qatar, «contrario ai principi dell’islam» e che «contravviene ai valori umani e di diritto internazionale ». Parole di rito per chi ritiene i sultani al-Thani i grandi manovratori della Terza guerra mondiale. Prima ancora di Berlino, l’uscente primo ministro iraqeno Nour al-Maliqi ha accusato Arabia Saudita e Qatar di aver finanziato per tre anni i jihadisti sunniti regionali, cioè dall’inizio della rivolta contro il presidente siriano Bashar al-Assad, alleato di Teheran. Per tagliare le gambe all’Iran sciita, dunque, le potenze sunnite – e probabilmente i loro alleati in Occidente, come già successo in passato – hanno finito per azzopparsi da sole. La nuova formazione, infatti, è più ambiziosa e armata del qaedismo: innanzitutto, è territoriale e come tale conquista uno dietro l’altro spicchi di quadrante regionale per dare vita a una propria entità statale. In secondo luogo, si è già sganciata dai padrini: facendo due conti, lo Stato islamico di Iraq e Grande Siria non ha più bisogno degli aiuti di nessuno. Prendendo Mosul, i miliziani si sono impossessati della Banca centrale, con 500 milioni di dollari in contanti e riserve d’oro. I beni complessivi riconducibili ai miliziani post-qaedisti sono stimati in 2,5 miliardi di dollari. Inoltre, sono circa 60mila gli uomini armati e addestrati come un vero esercito.Secondo la stampa del Cairo, i volontari egiziani sarebbero oltre 3mila, in continuo aumento. Considerando fondata l’accusa di Berlino, emerge la strategia qatariota nella sua determinazione: finanziare tutte le organizzazioni sunnite, politiche o paramilitari, per estendere la propria influenza oltre gli striminziti confini nazionali. Innanzitutto, fiumi di soldi ai Fratelli musulmani, ovunque. Poi, finanziamenti e armi a tutti i ribelli islamisti: libici, tunisini, gazawi. Una pioggia di petroldollari senza fine, in concorrenza con Riad, che coccola sia i nostalgici del Califfato sia altre formazioni islamiste “aggressive” come il Fronte al-Nusra. Ma nella regione si fa a gara per spalleggiare gli islamisti: la Turchia di Recep Erdogan ha fatto lo stesso, addestrando miliziani – stranieri o autoctoni – sul confine con la Siria. Quegli stessi uomini che poi hanno fondato Isis. Altri, sono stati addestrati nei campi giordani da ufficiali americani: lo scrive la stampa di Amman da almeno due anni. E ora viene il bello: Washington ha appena inviato a Baghdad 300 “esperti militari” per proteggere i pozzi petroliferi e i nodi nevralgici del Paese. Accanto a loro chi altro? Truppe scelte iraniane, circa 2 mila, a guardia della capitale iraqena. Ormai mancano solo i droni israeliani, ma non è detto che non stiano scaldando già i motori. 
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