venerdì 10 dicembre 2010
Deputati e Senatori del Parlamento italiano e rappresentanti di associazioni umanitarie hanno lanciato un appello alle Istituzioni europee affinché ci sia un loro immediato interessamento per promuovere una evacuazione umanitaria del gruppo di profughi sequestrati in Sinai verso il territorio europeo. Ne dà notizia il Consiglio Italiano Rifugiati (Cir).
- Elogio del predone di Marina Corradi
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Deputati e Senatori del Parlamento italiano e rappresentanti di associazioni umanitarie hanno oggi lanciato un appello alle Istituzioni europee affinché ci sia un loro immediato interessamento per promuovere una evacuazione umanitaria del gruppo di profughi sequestrati in Sinai verso il territorio europeo. Ne dà notizia il Consiglio Italiano Rifugiati (Cir).L'appello - firmato da Savino Pezzotta, Livia Turco, Matteo Mecacci, Rita Bernardini, Paola Binetti, Benedetto Delle Vedove, Guido Melis, Marco Perduca, Flavia Perina, Jean Leonard Touadì, Luigi Zanda, Gennaro Malgieri e Luigi Manconi - raccoglie la proposta lanciata dal Cir per spingere affinché si agisca subito attraverso una evacuazione umanitaria dei profughi sequestrati. Una volta in salvo sul territorio dell'Unione, dice il Cir, si potrà deciderne la distribuzione tra i diversi Stati membri rispetto alla disponibilità che i Governi dovranno segnalare, nella logica di una equa condivisione di responsabilità.L'evacuazione umanitaria, sottolinea il Cir, rappresenta l'unico segnale in grado di garantire alle autorità egiziane che, nel caso della liberazione dei profughi, non verrebbero lasciate sole nella gestione di questa difficile crisi umanitaria, ma riceverebbero il supporto dell'Ue. Il Cir sottolinea che molti di questi migranti sono stati costretti a una nuova via di fuga dopo la chiusura delle frontiere europee a seguito della politica dei respingimenti. Molti, riferisce il Cir, provengono dalla Libia e ci sono testimonianze circa la presenza tra questi di persone respinte a pochi chilometri delle coste italiane."Confidiamo che questa iniziativa sia raccolta dalle istituzioni europee quale unica soluzione a questo punto per salvare la vita dei rifugiati e dare loro la protezione a cui hanno diritto" dichiara il direttore del Cir Christopher Hein.LA VICENDASi chiama Abu Khaled ed è noto alla polizia egiziana per traffico d’armi e di esseri umani. E gestisce anche il mercato degli organi che vengono espiantati ai profughi che non possono pagare. «È lui ad avere in mano i 250 profughi africani sequestrati da quasi un mese nel deserto del Sinai», la denuncia arriva da Roberto Malini, co-presidente del Gruppo EveryOne che, in collaborazione con l’agenzia Habeshia, sta seguendo da vicino la vicenda.Oltre ad Abu Khaled sarebbero coinvolto anche un secondo trafficante, Abu Ahmed, che però non gestisce direttamente il gruppo. Assieme ai due predoni, secondo quanto riferito da EveryOne, opera anche un uomo di origine eritrea, Wedi Koneriel, che ha il compito di avvicinare e rassicurare i suoi connazionali per poi condurli nelle mani dei predoni. «Abbiamo deciso di rendere pubblici i nomi dei trafficanti per metterli ulteriormente sotto pressione – spiega Roberto Malini –. Al di là dell’esito di questa vicenda, chiediamo al governo egiziano di iniziare a perseguirli».Il traffico di esseri umani (assieme a quello di armi e di droga, infatti) è un business fiorente per i predoni del deserto. «Nel Sinai è presente una rete forte e ben strutturata. Andando a leggere i giornali locali, si scopre che lo scorso anno sono spariti nel nulla centinaia di migranti. Probabilmente sono stati operati e uccisi per espiantare loro gli organi», spiega ancora Malini. Prosegue intanto l’attesa, un misto di preoccupazione e speranza, per il destino dei profughi (tra cui un’ottantina di eritrei) con cui don Mosé Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, mantiene regolari contatti. Le ultime notizie, purtroppo, non sono positive: «Li stanno dividendo in piccoli gruppi – spiega –. Temono di essere spostati, nascosti in un luogo più inaccessibile o essere rivenduti ad altri gruppi di trafficanti nella zona». Ma la preoccupazione del sacerdote eritreo e del Gruppo EveryOne va anche a un secondo gruppo di persone (formato da 63 cittadini somali ed eritrei) che mercoledì è stato rilasciato dai predoni vicino a Suez City. Tutti sono stati arrestati con l’accusa di immigrazione clandestina. «Ricordiamo al governo egiziano – si legge nel comunicato congiunto, diffuso dal Gruppo EveryOne e dall’agenzia Habeshia – che l’Egitto ha sottoscritto la convenzione di Ginevra sui rifugiati e che i 63 migranti hanno diritto alla protezione internazionale perché fuggono da una crisi umanitaria». Da qui la richiesta, da parte delle due associazioni, all’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Antonio Guterres e al suo portavoce in Italia Laura Boldrini di attivarsi affinché ai profughi sia concessa protezione internazionale e non vengano deportati in Eritrea.Un rischio che potrebbero correre anche i 250 profughi eritrei, somali e sudanesi per cui si stanno battendo le due associazioni. «Vorremmo evitare che, una volta liberati, finiscano in un carcere egiziano – conclude don Mussie Zerai –, per questo chiediamo che l’Acnur vigili sul rispetto dei loro diritti e avanzi preventivamente la richiesta formale all’Egitto. L’Europa deve essere pronta ad accoglierli».Anche dal direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, Christopher Hein, arriva un appello all’Europa «affinché si mobiliti per un’evacuazione umanitaria degli ostaggi. L’Europa li accolga e garantisca loro l’accesso alle procedure di asilo. Stiamo lanciando un’iniziativa con l’associazione “A buon diritto”, – aggiunge Hein – affinché i parlamentari di entrambi gli schieramenti firmino una lettera in cui si chiede a Bruxelles di intervenire».Ieri, in tarda serata, almeno una buona notizia: la polizia egiziana ha fatto sapere di aver sollecitato i capi tribù del Sinai a fare da tramite con i predoni per tentare di localizzare dove vengono tenuti prigionieri. Rafforzate anche le misure di sicurezza all’ingresso del tunnel El Shahid Ahmed Hamdi, che passa sotto il canale di Suez e che approda nel Sinai. Ilaria Sesana
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